"Giornalismo, fonti e riservatezza: ecco come si muove un cronista"

Quale rapporto bisogna avere con gli informatori? La parola agli avvocati Stefano Toniolo e Alberto Merlo dello Studio Martinez Novebaci

"Giornalismo, fonti e riservatezza: ecco come si muove un cronista"

La garanzia dell’anonimato spesso è la condizione posta dalla fonte per rivelare un’informazione senza cui, in buona parte dei casi, le inchieste giornalistiche nemmeno comincerebbero. Quello con gli informatori è un rapporto essenziale per chi vuole fare questo mestiere, su cui pendono, però, delle vere e proprie “spade di Damocle”. Stefano Toniolo e Alberto Merlo - avvocati dello Studio Martinez Novebaci - ci hanno dato qualche anticipazione dei rischi e delle tutele dal punto di vista legale che un giornalista deve conoscere, e di cui parleranno a fondo durante la masterclass in videogiornalismo investigativo di The Newsroom Academy.

Stefano Toniolo, avvocato penalista Studio Martinez Novebaci

Quali sono le tutele legali del segreto professionale del giornalista?

Le tutele legali trovano disciplina nel codice di procedura penale e consentono al gornalista di mantenere l’anonimato della propria fonte. L’art. 200, ultimo comma, consente al giornalista chiamato a deporre in un procedimento penale di avvalersi del segreto professionale per tutelare la propria fonte; l’art. 256 prevede invece che il giornalista, a seguito di richiesta di acquisizione documentale dell’autorità giudiziaria, possa, previo rilascio di dichiarazione scritta, non consegnare documenti dai quali potrebbe evincersi l’identità della propria fonte.

Quando, invece, il giornalista è costretto a rivelare l’identità del proprio informatore?

Entrambe le norme che ho richiamato prevedono che qualora il giudice ritenga che la conoscenza della fonte sia indispensabile per accertare il reato, possa ordinare al giornalista di rivelarla. Devo dire, tuttavia, che in oltre 25 anni di esperienza non è mi è mai accaduto che un giudice abbia assunto un provvedimento di questa natura.

C’è una linea rossa che non va oltrepassata nell’accettare informazioni da una fonte che sta violando la legge?

Quella che lei pone è una questione molto delicata, complessa ed ancora oggi in fase di elaborazione giurisprudenziale. Nell’attività giornalistica va intanto tenuta distinta la fase della raccolta del dato da quella della pubblicazione. Se per questa ultima fase le linee interpretative giurisprudenziali sulle scriminanti sono piuttosto chiare e scolpite nel tempo (verità del fatto, continenza, interesse pubblico, intervista, etc.), così come il legislatore ha disciplinato le scriminanti con norme piuttosto chiare in materia di privacy, per la fase della raccolta del dato la questione è ancora controversa. La linea rossa in astratto dovrebbe essere individuata nella commissione di reati.

Tipo?

La fattispecie tipica è quella della ricettazione di documenti di provenienza illecita. Tuttavia, a seguito di alcune pronunce della Corte Europea dei diritti dell'uomo, CEDU, la quale ritiene che l’attività giornalistica vada tutelata in tutte le sue fasi, ivi compresa nella raccolta, una sentenza isolata ma importante della Cassazione del 2019 ha ritenuto in astratto compatibile la discriminante del diritto di cronaca anche alla ricettazione (fase di raccolta del dato), laddove l’interesse pubblico sotteso ai documenti sia tale che, nell’ottica di un bilanciamento di interessi, quello della collettività ad essere informata prevalga sull’interesse tutelato dalla norma penale. Ciò, in astratto potrebbe valere per qualsiasi reato commesso nella fase di raccolta del dato.

Vi sono state successivamente pronunce in senso contrario e vi sono ancora resistenze nella giurisprudenza di legittimità ad accettare il principio, ma credo che la strada tracciata dalla sentenza del 2019 sia quella giusta e coerente con i principi costituzionali e della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. A mio avviso, inoltre, tra la fase della raccolta del dato e quello della sua pubblicazione va, in ogni caso, consentita al giornalista una valutazione del documento sotto il profilo della provenienza e quello della sua rilevanza pubblica.

L'anonimato delle proprie fonti, come tutelarsi da potenziali cause, che tutele legali comporta il segreto professionale del giornalista? A queste e altre delicate e fondamentali domande, risponderemo durante il corso di videogiornalismo di inchiesta di Alessandro Politi. Scopri tutto il programma

Solo chi è iscritto all’albo dei professionisti può appellarsi al segreto professionale. Ma allora come si tutela la fonte di chi non è giornalista professionista?

Anche questo è una tema dibattuto. Una sentenza della Corte di appello di Caltanisetta, ad esempio, recependo principi interpretativi della Cedu, ha ritenuto estendibili le garanzie sul segreto anche ai pubblicisti. Personalmente ritengo che nella società attuale, in cui l’informazione viene fornita con modalità diverse da quelle tradizionali così come tutti i cittadini comunicano quotidianamente sui social, strumenti di pubblicità rivolti ad un numero indeterminato di persone, il diritto alla libera manifestazione del pensiero vada tutelato in senso oggettivo e non soggettivo: così, se un non giornalista svolge attività di inchiesta “giornalistica” avvalendosi di fonti riservate è giusto, costituzionale e coerente ai principi interpretativi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, sussistendo determinati condizioni, gli sia concesso il diritto al segreto professionale. In questi termini ho consigliato miei assistiti operanti nel settore dell’informazione ma non giornalisti e sino ad ora non è mai stato contestato loro alcun reato. La questione, tuttavia, lo ripeto, è controversa.

Alberto Merlo, avvocato civilista Studio Martinez Novebaci

Spesso chi fa inchiesta si vede piovere addosso richieste di risarcimento danni. A cosa va incontro il giornalista e a chi spetta la copertura dell’eventuale risarcimento e delle spese legali?

Purtroppo le cause di risarcimento dei danni nell’ipotesi, ad esempio, di diffamazioni, sono frequenti; infatti il soggetto (persona fisica e/o giuridica) che si ritiene diffamato può agire o penalmente con una querela o anche (per certi versi anche parallelamente) in sede civile, chiedendo al giudice civile l’accertamento del reato e/o comunque la lesività di quanto pubblicato, pretendendo i relativi danni. Spetta, poi, alla contrattazione tra il giornalista e l’editore concordare chi si farà concretamente carico dell’eventuale condanna ed anche delle relative spese legali. Giuridicamente sono entrambi responsabili in caso di condanna al risarcimento liquidato.

Cambia qualcosa se il giornalista è freelance?

No.

masterclass

E se l’autore dell’inchiesta non è iscritto all’ordine dei giornalisti?

Anche qui, sotto il profilo della eventuale responsabilità di quanto pubblicato, la risposta è no. Nel senso che la sua eventuale responsabilità non è diversa (nel caso di causa civile) da quella di un soggetto iscritto all’albo. Se infatti, da un lato, l’art 21 della Costituzione tutela la libertà di espressione e, quindi, la possibilità, per chiunque, di manifestare il proprio anche con lo scritto, chi lo fa si prende ovviamente la responsabilità di essere citato in giudizio se quello che scrive sarà ritenuto diffamatorio.

Quali altri strumenti ha il giornalista per tutelarsi?

Non può assicurarsi contro le richieste di risarcimento per diffamazione in quanto non è possibile stipulare una assicurazione sulla responsabilità civile che copra un fatto doloso; l’unica risposta

che sinceramente mi viene è quella di fare sempre con scrupolo e attenzione il proprio lavoro. E questo con una seria e attenta valutazione delle proprie fonti a cui va abbinato un diligente e scrupoloso lavoro di ricerca.

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