Il profilo di Matildina nella luce malinconica del tramonto. Ultima immagine di una vita che aveva conosciuto l’alba per poi chiudersi improvvisamente nella penombra. Pianti di strazio, lacrime come gocce amorose di pioggia, Matilde Lorenzi lascia soltanto dolore e memorie, la sua fine è diversa da quella di altre giovani esistenze che hanno abbandonato il mondo per violenza e suicidio, l’ultimo fotogramma, il suo, sicuramente apparteneva alla giostra del suo sport, del suo piacere, della sua scelta di benessere. Il destino, non ho mai capito davvero che cosa sia, forse l’antro nel quale ci rifugiamo per sfuggire a colpe, responsabilità, spiegazioni, il fato che segue qualunque vivente, compagno clandestino capace di regalare il futuro e, assieme, di negarlo, stracciando la speranza.
Il rito funebre di Matilde è uguale e diverso ad altre cerimonie d’addio, le parole dell’officiante scivolano sull’acqua delle lacrime, fasce tricolori, vecchi alpini, fiori senza profumo, occhi spenti, visi sfatti, volti di cera, espressioni vuote di significato dinanzi a una morte che non ha ragione e che lascia righe nella memoria e nel corpo di chi rimane e cerca, inutilmente, di capire. Passeranno giorni di attesa, come se si trattasse di un incubo, di un sogno malvagio che avrà un risveglio dolce, liberatorio.
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