La lite con il padre, la pistola sfilata dalla custodia e la fuga da casa, in un casale di campagna, per uccidersi. Anche il suicidio del ragazzino di 15 anni di Senigallia racconta quello che, da un po', la cronaca nera ci dice in tutti i modi: siamo incapaci di gestire l'impulsività. Ne parliamo con lo psichiatra Giancarlo Cerveri, fondazione Onda, consigliere della Società italiana di psichiatria.
Cerveri, come è possibile non saper gestire la rabbia? Rabbia che a 15 anni si prova spesso?
"A 15 anni si ha il corpo di un adulto, ma un cervello in fase di maturazione, che ragiona ancora come si fosse bambini. L'impulsività viene sfogata su se stessi o su gli altri. E' fondamentale trovare gli strumenti educativi per gestirla".
Da dove cominciamo?
"Come prima cosa dobbiamo capire che la violenza non è estranea alla quotidianità delle persone comuni. Non appartiene solo ai soggetti a rischio e non va patologizzata. Ma fa parte della nostra storia fin dai tempi dell'homo sapiens".
Però sembra che ultimamente si dia meno valore alla vita. Stile videogioco: litigo, odio tutti, smetto di giocare. Oppure: sono nervoso, esco con il coltello e aggredisco un estraneo, come accaduto a Rozzano.
"Accade anche perché non siamo preparati nell'educazione sulla rabbia. Diamo meno valore alla vita e quindi anche alla morte, nostra o altrui. E poi siamo soli".
Ecco, la solitudine, uno dei mali principali dei giovani.
"I giovani sono soli. Quando invece hai un amico con cui sfogarti, una relazione, allora inibisci la rabbia, diventi meno distruttivo, incanali tutto in uno sfogo sano".
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