"La frontiera non è più controllabile". Il grido d'allarme sui migranti

Dalla rotta balcanica entrano a Trieste e Gorizia migliaia di persone ma i riflettori sul Friuli sono spenti: il Cpr ha il quadruplo degli ospiti e non c'è un hotspot

Immagini di repertorio
Immagini di repertorio

Quella dei migranti in Italia è un'emergenza: chi dice il contrario mente sapendo di mentire. Ma si fa spesso l'errore di considerare esclusivamente gli ingressi via mare, quelli del Mediterraneo centrale, dimenticandosi che il nostro Paese ha anche un altro fronte esposto, che è quello orientale in Friuli Venezia Giulia. Non è un confine europeo, come sono le acque territoriali meridionali al largo della Sicilia, ma rappresenta un varco piuttosto battuto per l'ingresso nel nostro Paese via terra. Il confine di Stato del Friuli Venezia Giulia è uno dei punti d'accesso per i migranti che attraversano la rotta balcanica ed è a Trieste e a Gorizia che si presentano quotidianamente decine, se non centinaia, di persone.

La crisi dell'immigrazione: oltre 40mila ingressi dalla rotta balcanica

"Da mesi riscontriamo un grossissimo aumento di migranti sulla rotta balcanica, in ingresso da Trieste e da Gorizia. La frontiera carsica non è controllabile", ha spiegato Fabrizio Maniago, segretario regionale generale del sindacato di polizia Siulp, raggiunto telefonicamente da ilGiornale.it. Secondo i dati Frontex riportati in un comunicato del sindacato, nel periodo gennaio-maggio sono stati registrati 40.675 ingressi, con un incremento del 167% rispetto allo scorso anno. Numeri che, per quanto alti, non sono comunque attendibili, perché "si parla solo di quelli che noi riusciamo a fotosegnalare e a censire. Secondo me il transito è superiore da parte di persone che hanno in mente di andare verso altre destinazioni e a ricongiungersi con i parenti in altri Stati".

Ma la frontiera carsica non è attrezzata per gestire un numero così elevato di migranti, anche perché, come spiegato da Maniago "questa regione è davvero minuscola rispetto a quello che è il flusso in ingresso". Ed è questo il messaggio che le forze di polizia impegnate in questo territorio vogliono far passare: i riflettori sono perennemente accesi su Lampedusa ma anche da questo lato c'è una grande emergenza, che troppo spesso si fa passare nel silenzio. "I dati forniti da Frontex smascherano la situazione, dicendo che siamo noi, in questa remota provincia del nord-est Italia, che subiamo in questo momento una pressione estremamente forte", ha proseguito Maniago.

Friuli, gestione dei migranti al collasso senza un hotspot

Il problema, in questo estremo fazzoletto d'Italia, è tutto nei numeri, insostenibili per una struttura che non è nata per questo scopo. "Il prefetto ha detto che la scorsa settimana sono state ricollocate 150 persone ma se noi abbiamo punte di 150 ingressi al giorno per una settimana, basta fare un giro a Trieste per capire quali sono le conseguenze", ha spiegato ancora Maniago. "Sono al collasso, anche la Caritas e l'Ics lanciano messaggi d'aiuto perché hanno saturato i posti. È un problema logistico per una città che ha 200mila abitanti e che non ha le strutture e i mezzi per gestire flussi di questo tipo", spiega il segretario del Siulp, accendendo i riflettori su un problema troppo spesso sottovalutato.

In Friuli Venezia Giulia, infatti, non esistono strutture organizzate come hotspot, che invece è presente a Lampedusa, e questo complica enormemente la gestione dei flussi. "C'è un Cpr-Cara a Gradisca che però ha il quadruplo della capienza, e non è a Trieste ma è su Gorizia. Sì, è sempre sulla regione ma dista circa 50 km da Trieste e anche loro sono in affanno e chiedono aiuto", ha sottolineato Maniago.

"Abbiamo grosse difficoltà". L'allarme delle divise nella gestione dei flussi di migranti

L'elemento che non viene spesso considerato è che questa situazione, sia su Trieste che su Gorizia, non è recente ma va avanti da anni senza che i precedenti governi abbiano agito per tentare di trovare una soluzione a una situazione potenzialmente esplosiva. "Mi sconcerta che non si consideri quanto accade qui ma i riflettori siano costantemente puntati su Lampedusa, dove comunque hanno delle risorse e un'organizzazione del lavoro più confacente a quelle che sono le richieste. Noi combattiamo per avere le stesse risorse, perché qui abbiamo grosse difficoltà di gestione", ci ha spiegato Fabrizio Maniago, mettendo in evidenza come ci sia un diverso approccio, anche mediatico, tra la rotta balcanica e il Mediterraneo centrale.

L'emergenza organizzativa in Friuli colpisce tutti gli aspetti della gestione dei flussi, da quello sanitario a quello di polizia: "I medici non riescono a gestire tutto. O vanno su a Fernetti (uno dei valichi di confine con la Slovenia, ndr), dove dove una parte viene trattata dalla polizia di frontiera. Ma se sono là non possono essere in questura, dove ogni giorno arrivano 30/40 persone che si mettono in fila e non possono essere subito controllate. Nell'hotspot, invece, l'organizzazione e il lavoro è molto più puntuale per uno screening sanitario".

L'esigenza di una gestione europea: "Accendiamo un faro sulla rotta balcanica"

Le conseguenze di questa mancanza di gestione sono ben immaginabili: "I numeri parlano chiaro. La piazza antistante la stazione dei treni è diventato un accampamento a cielo aperto. Si fanno dei controlli ma alla fine le persone, anche se si spostano al mattino, non è che poi non tornano quando noi non ci siamo. Le persone vanno gestite in qualche maniera, spalmate in Italia". Durante la nostra chiacchierata telefonica, Maniago ha condiviso con noi una riflessione: "Dal mio punto di vista connoto una grande ipocrisia, non solo a livello europeo, dove sono tutti pronti a dire 'sì' per le ridistribuzioni ma nel momento in cui c'è da fare nessuno vuole mettere mano al regolamento di Dublino. Le riallocazioni volontarie io non le vedo così pregnanti, qui la maggior parte rimane. Dopo di che vedo poco interesse, ognuno pensa a se stesso". Maniago, quindi, aggiunge: "La Francia ha chiuso i porti, l'Austria chiude le frontiere ed è un problema.

Le soluzioni devono avvenire a un livello che non è quello locale del Friuli Venezia Giulia, una realtà troppo piccola per questo genere di problemi". Il messaggio è chiaro da parte di chi, ogni giorno, si confronta con il problema dell'immigrazione: "Accendiamo una luce anche qua, sulla rotta balcanica, su Trieste e sul Friuli Venezia Giulia".

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