Pignatone fa lo gnorri: Orlandi? Non sapevo del fascicolo né degli incontri col Vaticano

L'ex procuratore capo di Roma smentisce il suo ex sostituto Capaldo e nega di aver insabbiato l'inchiesta. E sulla telefonata legata a De Pedis giura: solo illazioni

Pignatone fa lo gnorri: Orlandi? Non sapevo del fascicolo né degli incontri col Vaticano

«No, non io, non sapevo». È questa la sintesi della deposizione dell’ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, a capo del tribunale capitolino dal 2012 al 2019, davanti alla commissione parlamentare di inchiesta che indaga sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, presieduta dal senatore Andrea De Priamo (FdI). L’ex presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, quando nel 2012 arrivò alla procura di Roma, aveva coordinato l’inchiesta sulla sparizione della Orlandi salvo chiederne l’archiviazione. Nel 2019 proprio il Tribunale vaticano che lui avrebbe presieduto aveva aperto un’altra indagine sulla cittadina vaticana 15enne sparita il 22 giugno 1983, il cui rapimento potrebbe essere legato all’attentato a Papa Giovanni Paolo II di qualche settimana prima.

Secondo la sua deposizione, al suo arrivo Pignatone non sapeva nulla degli incontri tra i procuratori aggiunti Giancarlo Capaldo e Simona Maisto (morta nel 2022) e gli ex vertici della Gendarmeria vaticana Domenico Giani e Costanzo Alessandrini (anche loro già ascoltati in commissione), emissari della Santa Sede che avrebbero manifestato la volontà di fare luce sulla sparizione della ragazza. A confermare l’identità dei due (anche alla commissione) era stato Capaldo, in pensione dal 2017, poi non se ne fece nulla.

Lo stesso magistrato aveva preso le distanze da Pignatone rispetto al fatto che non sapesse nulla di questi incontri, perplessità che lo stesso magistrato siciliano - che poi assunse e diresse l’indagine sotto la Direzione distrettuale antimafia - ha ribadito oggi nella sua audizione: «Non ne sapevo nulla, avvennero prima che arrivassi a Roma nel marzo 2012. Ho letto verbali che lo collocano tra inizio gennaio e febbraio, quando io non c’ero». La versione di Pignatone è sempre la stessa: non sapeva degli incontri né era stato informato. Tutto era nato qualche settimana dopo il suo arrivo quando uscirono indiscrezioni di stampa «il 2 aprile pomeriggio» attribuite ad «anonimi inquirenti della procura di Roma», frasi che lo irritarono molto, così come le affermazioni che in Vaticano «c’era chi sapeva e taceva sulla vicenda».

Pignatone avrebbe chiesto lumi a Capaldo che gli avrebbe risposto con una nota «di una pagina e mezzo» ma «senza dire nulla dell’incontro o degli incontri con esponenti vaticani - ha precisato - voleva tenermi all’oscuro di questi contatti, qualunque fosse il contenuto».
Anche sull’archiviazione del fascicolo Pignatone si chiama fuori: «Non è vero, come spesso è stato detto, che io abbia avocato il procedimento né è vero che sia stato il solo a volere l’archiviazione nel 2015 dato che questa era l’indicazione della maggioranza dei titolari, indicazione che io condivisi convintamente», è la versione dell’ex procuratore capo.

Ma Capaldo era contrario? «È del tutto fisiologico che, in un procedimento con più titolari, si manifestino opinioni contrastanti; di solito si giunge a una posizione condivisa ma se questo non avviene la normativa rimette la decisione al procuratore». Secondo il magistrato a riposo dal Vaticano dallo scorso 31 dicembre (portando a casa cittadinanza e pensione vaticana su decisione motu proprio di Bergoglio, rivelata dal Giornale la richiesta di archiviazione «non è una pietra tombale ma serviva a definire, a scadenza di legge, la posizione della persona sottoposta a indagine in quello specifico procedimento», quindi era possibile riaprire il fascicolo «se fossero emerse altre ipotesi investigative».

A parlare dell’esistenza di un dossier in Vaticano era stato Alessandro Diddi, Promotore di giustizia in Vaticano al processo su monsignor Angelo Becciu, la cui sentenza venne proclamata qualche giorno dopo la concessione della cittadinanza vaticana per Diddi e lo stesso Pignatone. Nel mistero della Orlandi fanno capolino anche i misteri svelati dalle chat di Vatileaks del 2014 fra la Papessa Francesca Immacolata Chaouqui e il cardinale Angel Vallejo Balda, in cui viene fatto riferimento al dossier Orlandi aperto in Vaticano. Il direttore del Domani Emiliano Fittipaldi qualche anno dopo avrebbe pubblicato i fogli spese che documentavano la permanenza di Emanuela Orlandi in Inghilterra, rilanciando la famigerata «pista di Londra» di cui è convinto il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi.

E sulla questione della riapertura della tomba a Sant’Apollinare di Renatino De Pedis, ammazzato a Roma il 3 febbraio 1990 da killer sconosciuti (anche se il pentito di mafia Maurizio Avola ne ha recentemente rivendicato la paternità https://www.ilgiornale.it/news/nazionale/filo-rosso-che-lega-borsellino-magliana-2444034.html) e considerato uno dei possibili sequestratori di Emanuela, Pignatone ha osservato: «Solo dopo più di un mese, a fronte di una continua insistenza degli organi di informazione, chiesi informazioni in proposito: se ci fosse un motivo per non fare questa verifica. Capaldo mi disse che secondo lui era inutile, ma non vi erano ostacoli alla riapertura». Così Pignatone avrebbe chiesto di rivalutare la situazione ai due sostituti Capaldo e Maisto, che erano d’accordo, così la tomba fu aperta. A distanza di tanti anni lo stesso magistrato siciliano dire di non avere «elementi specifici per poter ipotizzare la validità di una pista piuttosto che un’altra».

Su De Pedis c’è un’intercettazione su cui i legali della famiglia Orlandi puntano molto. È quella tra don Pietro Vergari - l’ex rettore della Basilica di Sant’Apollinare che all’epoca dei fatti, nel 1983, ospitava al suo interno la scuola di musica “Ludovico da Victoria” frequentata da Emanuela - e la vedova De Pedis Carla. La scuola di musica fu l’ultimo posto dove venne vista, al termine di una lezione.
Fu Vergari - indagato da Capaldo assieme all’amante di De Pedis Sabrina Minardi, al’autista di fiducia di Renatino Sergio Virtù e ai due complici Angelo Cassani detto Ciletto e Gianfranco Cerboni, detto Giggetto) a sposare De Pedis e a farlo seppellire a Sant’Apollinare grazie a una dispensa speciale per la sepoltura firmata dal cardinale Ugo Poletti, Vergari fu anche tra i primi a soccorrere il boss della Banda della Magliana quando gli spararono in via del Pellegrino, vicino Campo de’ Fiori a Roma.

Ed è su questa frase che la vedova di de Pedis avrebbe detto a don Pietro, poco prima che Pignatone fosse nominato: «Tanto arriva il procuratore nostro, sta prosciogliendo, sta archiviando tutto, è roba di pochi giorni, Resista». Secondo Pignatone «sono solo illazioni e sospetti ingiustificati».

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