Aveva ucciso la madre a martellate lo scorso 9 marzo a Pinerolo (Torino), dopo l'ennesimo rimprovero della donna che lo accusava di stare tutto il giorno al cellulare invece di trovarsi un lavoro. Ora Imran A, un ragazzo pakistano di 23 anni, è stato condannato all'ergastolo. La Corte d'assise, applicando un articolo del codice di procedura penale, ha dichiarato per lui "indegnità a succedere alla madre", nonostante oggi nell'aula del tribunale di Torino il giovane, reo confesso, aveva chiesto scusa a tutti e poco prima della sentenza aveva fatto recapitare alla Corte una lettera in cui ribadiva l'amore per sua madre, spiegando di aver reagito in modo violento dopo l'ennesimo litigio.
Come si erano svolti i fatti
La testimonianza fondamentale, che ha dato la possibilità di ricostruire con precisione l'accaduto, è stata data dalla sorella di Imram, che dal Pakistan dove si trova attualmente, ha rilasciato la sua dichiarazione con una videochiamata di whatsapp, con una soluzione che la Corte ha ammesso grazie all'articolo 133 ter del codice di proceduta.
La ragazza ha raccontato di trovarsi in bagno nel momento dell'aggressione e sentendo le urla della madre è uscita a vedere cosa stava succedendo. Ha visto quindi il fratello colpire la donna con un martello per sei o sette volte alla testa e poi tagliarle la gola con un coltello. Dal racconto è emerso anche che il giovane litigava spesso con la madre Rubina così come con il padre, presente in aula, che ha raccontato di un pesante alterco con il figlio di qualche tempo prima per lo stesso motivo. L'uomo ha specificato anche che negli ultimi tempi il figlio era diventato taciturno.
Nessuna perizia psichiatrica
Le indagini partite subito dopo la morte della donna, non hanno riscontrato prove che potessero ipotizzare l'esistenza di una patologia psichiatrica, e la Corte, allo stesso modo, non ha disposto nessuna perizia. Nella precedente udienza il ragazzo sottoposto a interrogatorio aveva rievocato gli attimi prima dell'omicidio: "Ero nella mia stanza e stavo usando il telefonino, guardavo dei video su YouTube. La mamma stava cucinando e mi ha detto: 'Invece di stare sempre al cellulare, vai a cercarti un lavoro'. Non ho capito più niente".
L'avvocato difensore, Simona Bertrand, nel corso della sua arringa ha sottolineato: "Non è vero che Imram non cercava lavoro: non lo trovava.
E al giorno d'oggi non trovare lavoro è causa di depressione, disagio. Il giovane si distaccò dal mondo reale. Ma la sua non era svogliatezza: era un malessere". La Corte però non ha trovato attenuanti e il ragazzo è stato condannato all'ergastolo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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