Un «nazionalista internazionale»

Qual è l’attualità di Soffici oggi? La domanda è mal posta, perché, come qualcuno ha detto, i grandi artisti sono sempre attuali. Il problema è se siamo attuali noi. Nel caso di Soffici, piuttosto, ci si può chiedere se il suo valore di artista e, più ancora, di intellettuale, sia stato pienamente riconosciuto. Sembra di no. Nonostante il continuo arricchirsi delle ricerche, come dimostrano l’apertura del Museo Soffici o la recente biografia di Simonetta Bartolini, Ardengo Soffici. Il romanzo di una vita (già recensita su queste pagine), non risulta che l’Italia abbia dato a Soffici quel che è di Soffici.
Per parlare dell’uomo del Poggio si potrebbe parafrasare la definizione che Giorgio Colli dava di Schopenhauer: il grande sprovincializzatore della cultura europea. Soffici è stato lo sprovincializzatore della cultura italiana. Eppure questo concetto, noto agli specialisti, non è ancora diffuso come dovrebbe. Soffici è stato il primo, in Italia, a organizzare una mostra degli impressionisti, allestita a Firenze nel 1910. È stato anche il primo, da noi, a scrivere di Picasso, di Braque e del cubismo, già nel 1911. (E Picasso l’ha ringraziato con parole che non avrebbe più usato per nessun critico: «Ho letto con emozione il vostro articolo. Vi ringrazio per il coraggio che avete avuto nel difendermi»).
Soffici è stato poi il primo, in Italia, a parlare del Doganiere Rousseau, che era andato a trovare nel suo studio parigino prima che morisse. È stato anche il primo a far comprendere la grandezza degli artisti italiani che vivevano a Parigi e che da noi pochi conoscevano, come Medardo Rosso e De Chirico. Così è stato il primo a capire la metafisica, definendola già nel 1914 «una scrittura di sogni» e scrivendo su quella strana pittura un articolo di tale intensità che Apollinaire volle tradurlo immediatamente in francese e pubblicarlo per intero nella sua rubrica su Paris-Journal. E, ancora, bisognerebbe ricordare la sua opera di divulgazione in campo letterario. Tra le sue carte (è solo un indizio, ma significativo) è rimasto un biglietto da visita di Rimbaud: un souvenir che pochi potevano permettersi di possedere.
L’artista di Poggio a Cajano è stato un esterofilo, dunque? Tutt’altro, era un nazionalista dei più appassionati.

Ma forse è stato un ambasciatore tanto efficace dell’arte europea perché non ha mai smesso di essere innamorato dell’Italia. Dimostrando così che amare la propria storia, la propria letteratura, la propria arte non impedisce di capire quelle altrui. Anzi, aiuta.

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