Ma neanche la Cancel culture ci imporrà il silenzio

Ma neanche la Cancel culture ci imporrà il silenzio

Dalla finestra della redazione si vede la camionetta dell'esercito parcheggiata in via Negri. Compare ogni tanto, una presenza discreta e rassicurante. Come la nebbia a Milano d'inverno, ci ricorda la nostra storia, le nostre radici: quelle di un Giornale fondato per combattere il conformismo del compromesso storico e diventato grande di battaglia in battaglia, a costo di minacce e attentati, campagne d'odio e bugie.

Ogni quotidiano nasce per portare avanti i suoi ideali, ma non tutti riescono a stringere con i propri lettori un patto che li porta a battersi fianco a fianco, come commilitoni in prima linea. Arthur Miller diceva che «un buon giornale è una nazione che parla a se stessa». Il popolo del Giornale, la nostra nazione: la borghesia moderata, conservatrice, liberale, orgogliosamente occidentale, che all'invadenza dello statalismo preferisce il coraggio e il merito degli individui.

Provare a farsi voce di un popolo è una responsabilità enorme, ma anche un catalizzatore di coraggio. Per questo in oltre quarant'anni possono esserci mancate tante cose, ma mai le battaglie. In cui i giornalisti hanno sempre messo se stessi, idee, anima e corpo. Il corpo di Indro Montanelli gambizzato dalle Br, quello di Fausto Biloslavo arrestato dai sovietici in Afghanistan. Dal terrorismo rosso alla violenza no global, dal fondamentalismo islamico all'assistenzialismo, dalla burocrazia all'immigrazione clandestina, dalla giustizia politicizzata allo strapotere dei sindacati, dal comunismo alla bufala della decrescita felice: ci siamo fatti infiniti nemici perché abbiamo sempre avuto una bandiera fissa, quella della libertà. Che è libertà di impresa e di pensiero, libertà dalle ipocrisie e dalle ideologie. E la libertà è come la giovinezza: è certo che prima o poi qualcuno cercherà di portartela via.

Oggi l'ultimo nemico che la minaccia non usa la P38 e non si fa esplodere. È sottile, invasivo, ti tappa la bocca e sostiene di farlo per il bene comune. È la deriva del politically correct, la nuova ossessione globale che ha scatenato la più vasta caccia alle streghe della storia, che con la cosiddetta «cancel culture» sta riscrivendo il passato per anestetizzare il futuro. Fra tutti gli avversari che abbiamo affrontato, è il più difficile. Perché non ha volto, perché si insinua nelle coscienze e ci instilla sensi di colpa per il solo fatto di essere chi siamo. Sicché, per paura di poter anche involontariamente offendere qualcuno, le voci dissenzienti tacciono, il pensiero si atrofizza e le posizioni scomode rimangono vuote.

Non c'è problema, una di quelle la occupa volentieri Il Giornale.

E continuerà a farlo perché alle spalle ha quel Paese che vuole ragionare con la sua testa. Quando nel 1974 ha mandato in stampa il primo numero, la chiamavano «maggioranza silenziosa». Oggi «silenziosa» ditelo a qualcun altro.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica