"Nei non luoghi di Miró, creatore di sogni e silenzio"

Apre domani a Roma la mostra sul pittore spagnolo. Il curatore: "Un artista integrale"

"Nei non luoghi di Miró, creatore di sogni e silenzio"

«Io non sogno, dormo come un ghiro, ma da sveglio sogno sempre»: fu Joan Miró a pronunciare queste parole, confessate nel corso di un'intervista per esplicitare l'essenza della sua arte, la stessa che i curatori Achille Bonito Oliva, Maïthé Vallès-Bled e Vincenzo Sanfo hanno voluto celebrare nella mostra Miró - Il costruttore di sogni, in programma a Roma, presso il Museo Storico della Fanteria, da domani, 14 settembre al 23 febbraio prossimo. Titolo conturbante almeno quanto coerente, che rende giustizia a una produzione unica nel suo genere, a tratti più avanguardista perfino del Surrealismo, movimento in seno al quale si sviluppò; una produzione sovversiva, e letteralmente immersa nell'inconscio. E difatti l'opera di Miró potremmo vederla in questo modo, volendo tentare una similitudine: un dizionario dell'onirico, una galleria dell'interiorità più pungente, un firmamento di sensi, idee, oggetti e luoghi che dalla realtà passano alla sublimazione del simbolo e viceversa. E questa in fondo è la vera, pura e ancora oggi incandescente forza di Miró: aver fatto di continuo filologia del sogno, codificando così nuovi linguaggi visuali, definendo un'identità di artista sempre ispirato, autentico e coraggiosissimo nel donare al mondo la propria innovazione espressiva. Di questa è testimone il suo eclettismo tecnico, evidenziato anche da questa esposizione che ospita ben centoquaranta opere tra dipinti, litografie, manifesti, sculture e ceramiche, attraverso cui viene esaltata la personalità irripetibile di Joan Miró, che mentre era in vita diceva di voler assassinare una certa idea di cultura: accademica, vuota, commerciale, per ristrutturarla fin dalle fondamenta. Ciò gli ha certamente permesso, nel corso della sua lunga vita, di tracciare un prima e un dopo all'interno della storia dell'arte, lasciando un segno autenticamente personale nelle vicissitudini del 900. Ne parliamo insieme ad Achille Bonito Oliva.

Chi era Joan Miró?

«Un artista spagnolo, un uomo complesso e con una profonda originalità, che non era solo quella di stravolgere l'immagine ma anche di portarla altrove».

Cosa lo caratterizza più di tutto?

«L'aver realizzato dei non luoghi, fatti di spazi fluidi, dinamici, in movimento. È poi sempre interessante constatare come Miró sviluppi e trasformi il nostro sguardo in una visione: voglio dire che se si guarda un quadro di Miró si capisce di essere davanti alla descrizione di uno spazio non fermo bensì volatile, uno spazio che ne sospetta sempre altri».

Come lavorava Miró?

«Potrei fare un confronto con gli impressionisti, che dipingono en plein air. Miró al contrario dipinge in piena interiorità. Ciò che è interessante, come dicevo prima, è che Miró allestisce dei non luoghi, spazi irriconoscibili, spazi contaminati da varie presenze, alle quali bisogna aggiungere una notazione ulteriore».

Quale?

«La pittura di Miró non è mai drammatica, al contrario è accogliente, anche se presuppone simultaneamente il superamento di un confine: quella è la porta di entrata in un altro mondo».

È quasi paradossale quest'assenza di conflitto, anche rispetto ai tempi in cui visse Miró.

«Sì, è vero. Miró lavorò a partire dagli anni 30 del secolo scorso, quindi in un periodo delicatissimo, per il suo Paese come per il resto dell'Europa. Tuttavia, proprio la sua opera è un tentativo di indicare a un pubblico toccato dalla guerra una dimensione diversa, fatta anche di silenzio e accoglienza, una possibilità di pace oltre la storia».

Il suo fu un modo di esorcizzare quella storia?

«Possiamo vederci anche questo».

Quella di Miró è un'arte ludica?

«C'è anche quest'altra componente, certo. Non dimentichiamo che Miró viene dal Dadaismo: un grande movimento che si struttura sul senso del gioco».

Chi sono stati i maestri di Miró?

«Innanzitutto i pittori del Rinascimento, ma questo è un mio sospetto. La sua pittura infatti rispetta tutte le regole, è sempre armonica, non è mai minacciosa: è come se mettesse il silenziatore. Poi c'è anche il grande rapporto con Dalí».

Come avete costruito questa mostra, lei e gli altri curatori?

«Coi disegni, le pitture, le sculture e le ceramiche. L'abbiamo intitolata Il costruttore di sogni perché Miró fonda uno spazio onirico. Ricordiamo che questo artista visse in un mondo che era enormemente influenzato da Freud: anche per questo il riferimento al sogno è cruciale».

Quant'è conosciuto oggi Miró?

«Molto, ed è molto rispettato. C'è da dire che ha anche prodotto parecchio, ma non si è svenduto: non aveva la fama, anzi direi la fame di successo di altri pittori, di Dalí ad esempio. Miró era un artista integrale, completo, ma soprattutto silenzioso».

Perché è così importante il silenzio quando si parla di Miró?

«Perché il silenzio fa parte del sogno. Ed è estremamente importante capire come Miró abbia utilizzato la sospensione del rumore per approdare alla sua idea di silenzio».

Mentre la scelta dei colori?

«Vale una regola più di tutte: Miró non è un edonista e dunque non dipinge per piacere, ma per rappresentare, e ce ne accorgiamo dalla combinazione dei colori come dall'utilizzo - mancato - della luce: Miró preferisce infatti giocare con le ombre. Secoli addietro Caravaggio tentò l'impossibile per uscire dall'ombra nei suoi quadri: ecco che Miró fa esattamente il contrario».

Se parliamo di luce mi viene in mente anche De Chirico, che però al contrario di Miró non è per nulla rassicurante.

«È così. De Chirico in fondo rappresenta gli stessi soggetti di Miró: cioè non luoghi, ma in chiave respingente».

Se guardo i quadri di Miró ho l'impressione di muovermi tra ambienti grandissimi, e di fare tra questi come dei respiri infiniti.

«È una sensazione corretta, perché Miró non è mai opprimente. De Chirico invece vuole lo spaesamento e la distanza».

C'è un'opera o una serie di opere in questa mostra a cui è più legato?

«No. Miró mi piace nell'insieme, amo la sua iconografia per intero».

Quali temi sono più ricorrenti per quest'artista?

«Niente si ripete mai troppo in Miró, a dir la verità, fatta eccezione per il tema dello slittamento, che per lui è fondamentale».

Cosa intende dire?

«Slittare per uscire, per giungere in un altrove e occupare un non luogo. Infine trasformare quel non luogo in uno spazio in cui tutto può entrare e volare».

Non le sembra che l'idea del non luogo e dell'accoglienza siano in contraddizione?

«No, perché l'arte non si basa sulla coerenza. L'arte può, anzi deve rappresentare anche la contraddizione, imponendo così una nuova visione. L'arte è arbitraria e pure prepotente, facendo affermare il pittore con la sua moralità e il suo universo: questo è accaduto anche a Miró».

Le piaceva Miró? Come uomo,

intendo.

«Posso confermare la mia simpatia per la sua persona. Ci sono grandi artisti che non sono simpatici; invece ogni volta che guardo un'opera di Miró sento di poter percorrere un pezzo di strada insieme a lui».

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