Se poi la definizione migliore del disco è quella del discografico, vuol dire che non ci sono dubbi: è un disco riuscito, anzi «consapevole» come dice Caterina Caselli con il più sincero dei sorrisi. Già, è così: capita che finalmente un gruppo italiano abbia inciso sedici canzoni che hanno un capo e una coda, che sono suonate bene e quel che sacrificano all’autoreferenzialità lo devolvono all’entusiasmo. Dunque, dopo tre anni i Negramaro pubblicano il nuovo cd, che si intitola Casa 69, è gonfio di rock senza troppi giri di parole e loro lo accompagnano pure con il primo videoclip italiano in 3D (anteprima delle versione integrale da sette minuti il 26 novembre su Sky Uno).
E, come accade solo nei casi migliori, per presentarlo non hanno bisogno di qualche notizia a pallettoni, buona solo per sgraffignare qualche titolo che sopravvive un giorno massimo due. No. Ieri i sei Negramaro sono arrivati nella saletta di un cinema del centro, vestiti come sempre, dispersivi e fumosi come sempre, semplicemente assoggettati all’inevitabile rito che battezza l’uscita di un album.
«Queste sono le canzoni dell’io, hanno l’uomo come soggetto e,mentre il nostro precedente disco Mentre tutto scorre, era ossessionato dal tempo e La finestra era basato sullo spazio, questa volta ne abbiamo fatto la sintesi e perciò ci siamo concentrati sull’uomo». Certo, il più srotolato nei discorsi è stato Giuliano Sangiorgi (e difatti la dichiarazione di prima è la sua) perché le parole sono il suo mestiere e lui le condisce benissimo con imprevedibili salti logici e persino con qualche riferimento trasversale che per forza conferma un bel po’ di cultura di rimando, quella che si assorbe con la vita e la lettura.
«Casa 69 rappresenta anche il desiderio di tornare a un autentico antropocentrismo, una sorta di risposta al modello I-life che esalta la solitudine: mentre da solo non sei nulla. Io senza gli altri della band non sono nulla». Difficile ascoltare discorsi così nella conferenza stampa di un gruppo pop. E così Casa 69 segue pari pari queste parole, smentisce la leggenda del terzo disco come la pietra tombale della creatività di quasi tutte le band e garantisce al nuovo rock italiano una dimensione che rischia di diventare davvero internazionale. Non importa se venderà tanto (anche se è già multiplatino perché ne sono state già prenotate centoventimila copie). E importa poco anche se le radio lo trasmetteranno oppure no, visto che il primo (complicato) singolo Sing-hiozzo è finito nel tritacarne dello scontro tra discografia e network e vola basso nella classifica dei passaggi radiofonici. «Non ci interessano i numeri e preferiamo pensare che il brano non sia piaciuto piuttosto che credere a cartelli o a questo genere di schifo». Conta, in effetti, la musica.
E il primo brano Io non lascio traccia, che si apre con un riff di chitarra che ce lo invidieranno e poi si chiude con un roboante “Io che sto parlando per questo non sono io” di Carmelo Bene, è anche il manifesto di un disco che chiede scusa a Mia Martini (in Comunque vadano le cose (Scusa Mimì)),che esibisce il duetto con Elisa di Basta così e che alla fine non evaporerà facilmente perché è complesso, multiforme, pretenzioso il giusto e soprattutto, accidenti, è «consapevole» come neanche i fan più duri e puri si sarebbero potuti aspettare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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