Nel Festival a tutta musica volano i nuovi cantautori e perde la vecchia guardia

C'è un cambio di passo interpretato da Giorgia e Achille Lauro. Il vero sconfitto è Tony Effe

Nel Festival a tutta musica volano i nuovi cantautori e perde la vecchia guardia

Dal nostro inviato a Sanremo

Che ci sia stato un cambio di passo (musicale) è evidente. Per chi vuol giocare con gli slogan, questo Festival è stato più tradizionale, più «normale» almeno a giudicare dalla struttura delle canzoni e dai linguaggi usati, ovviamente a parte le inevitabili eccezioni. Insomma, meno tormentoni, meno «cassa dritta», più ricerca lessicale (per quanto possibile, siamo a Sanremo mica alla Sorbona, ma almeno le consecutio sono rispettate) e meno becerume.

Non a caso i tre favoriti sulla carta, ossia Giorgia, Olly e Achille Lauro, sono iscritti all'albo della canzone tradizionale, non del rap, dal quale in modi diversi discendono gli ultimi due. Come sempre, Sanremo fotografa la situazione e negli ultimi mesi il pop ha ripreso il comando delle classifiche e qualcosa vorrà pur dire. Bye bye trap. In ogni caso, il cast canoro sceso in campo a Sanremo si può dividere in squadre. Eccole.

GLI SCONFITTI. Brutto da dire ma la cosiddetta «vecchia guardia» è stata drammaticamente al di sotto delle attese. Il momento più emozionante di Marcella Bella in questo suo ennesimo Festival è stato l'abbraccio al fratello Gianni uno dei grandi sfortunati della nostra musica. Per il resto la sua Pelle diamante è rimasta in superficie ed è subito volata via. Peccato per Massimo Ranieri, uno con una voce così si è sprecato con una canzone non all'altezza se non per il titolo Tra le mani un cuore: bella prova vocale ma melodia che, nonostante gli autori, non incide. Certo, Ranieri e Marcella Bella sono comunque nettamente superiori a concorrente più sconfitto in assoluto, Tony Effe. Tante polemiche per nulla. In qualsiasi osteria di Trastevere Damme 'na mano non avrebbe cittadinanza: troppo posticcio, troppo finto, troppo autotune. Metamorfosi non riuscita. Poi il pubblico «liquido» dello streaming sicuramente lo premierà sulla fiducia, ma musicalmente lasciamo perdere. Anche Clara non si qualifica. La sua Febbre ha tutto tranne che i connotati del brano vincente. E lei non è abbastanza agile per dargli vita sul palco. Bella sì, ma non funziona.

Poi c'è Serena Brancale, tutta Anema e core ma poca sostanza, nonostante il duetto con Alessandra Amoroso in If I ain't got you di Alicia Keys sia stato confezionato bene (e ha fatto pure il picco di ascolti con 18 milioni di spettatori). Infine Gaia, che esce «sconfitta a metà» (cit. Arisa) perché il brano funzionerà ma continua a mantenerla in un purgatorio stilistico che si fatica a capire.

METÀ CLASSIFICA. È la zona più popolata di questo Festival, musicalmente abbastanza «flat» ossia piatto nel senso di omogeneità stilistica. Il meno «flat» è senza dubbio Willie Peyote, che però stavolta non ha il gancio da mandarti al tappeto. Anche i Modà sono da applausi (Kekko ha cantato con un infortunio che avrebbe steso un elefante) ma non aggiungono nulla e restano in «quota mantenimento» che va bene ma non è granché. Anche Gabbani rimane lì, nonostante uno stile che ormai lo fa riconoscere al primo colpo e una capacità rara di tenere la scena: forse la sua Viva la vita non ha dato il colpo decisivo. Irama è un fuoriclasse, ha stile e una rara forza vocale ma si sta costruendo un pubblico stile «chiesa» che lo segue a tutti i costi però fatica a diventare trasversale. A metà classifica c'è anche Sarah Toscano, che si vede quanto scalpiti per crescere ma non è ancora perfettamente a fuoco (anche se nella cover con gli Ofenbach è stata convincente). Diverso il discorso per altre due lady del Festival, ossia Noemi e Rose Villain. La prima è una bomba vocale stavolta senza la miccia del ritornello vincente. L'altra è una bomba sexy che funzionerà probabilmente meno bene di quanto ha fatto l'anno scorso con Click boom! Anche Rocco Hunt è «mediano» ma lo fa con una classe da fuoriclasse: se c'è qualcuno che avrà un lungo futuro è lui perché è intelligente e saprà reinventarsi «mille vote ancora» come dice il suo brano.

Dovrebbero farlo anche i Coma_Cose, che sono freschi e vitali ma forse pagano un ritornello troppo «catchy», troppo vincente per resistere nel tempo, speriamo di sbagliarci. Cuoricini sì, ma non troppo rossi. Brava Joan Thiele che ha una classe innata ma deve «mordere» un po' di più così come Francesca Michielin, non ancora a fuoco come meriterebbe. A Rkomi invece manca quel nonsoche e, senza dubbio, pure una pronuncia migliore. Infine c'è Elodie che con il Festival non va molto d'accordo, d'altronde lo ha detto pure lei che «con le coppe non ci azzecco molto». Ma lei ha altri numeri per fare la fuoriclasse.

PRIMI POSTI. È una classifica generica, non legata al risultato finale. Dopotutto a Sanremo non conta più vincere ma resistere, visto che negli ultimi anni tanti brani si sono piazzati maluccio nella graduatoria finale e poi boom! Di certo Achille Lauro ha vinto a prescindere da tutto il resto perché riesce a convincere anche in questa «fase da ballata» Giorgia non ha confronti: è la miglior cantante di questa edizione (ma non solo) e l'agilità con cui ha cantato dal vivo La cura per me è da manuale di canto. E, per non farsi mancare nulla, ha vinto pure la serata delle cover con Annalisa. E Fedez? Musicalmente promosso contro ogni pronostico e alla faccia di tutto il resto che magari è da bocciatura. Idem Brunori, una gara a parte. Di Olly non si può dire che bene e difatti lo fanno in tanti, tantissimi. Bresh invece si è sdoppiato: sex symbol da una parte e cantautore della nuova scuola genovese dall'altra. Vincente in entrambe. Come Lucio Corsi, vincitore della categoria musica d'autore e della categoria «tenerezza». Il suo duetto con Topo Gigio passerà alla storia del Festival e il suo prossimo disco sarà un evento. A dimostrazione che quando ti rimbocchi le maniche e fatichi per anni, se hai talento alla fine ce la fai. Come i The Kolors, abbonati al tormentone. O Shablo feat.

Gue, Joshua e Tormento che con La mia parola hanno spiegato come si fa il rap, «quel» rap che sa rimanere nel tempo e non necessariamente sparge veleno.

Per chiudere, Simone Cristicchi, la dimostrazione concreta che puoi passare in radio anche se hai una canzone poetica sul dolore. Più vittoria di così.

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