Nel Mediterraneo si gioca il futuro del Vecchio Mondo

Egidio Sterpa

Innanzi tutto citiamo il nostro vecchio e caro amico R.A. Segre, nobilissima coscienza e profondo conoscitore del mondo mediorientale, che sabato scorso sul Giornale ha scritto: «dalla guerra d'immagine, Israele esce non solo sconfitto, ma addirittura schiacciato». Non c’è dubbio: Israele non è riuscito a ottenere la liberazione dei suoi due soldati catturati, per i quali era scesa in guerra, ha subito gravi danni e perdite umane, non ha annientato la milizia Hezbollah. Al contrario, Hezbollah ha accresciuto la sua popolarità nel mondo arabo. La realtà è questa. Inutile cercare di nasconderla. Ma con Israele - diciamo anche questa verità - è l'Occidente e soprattutto l'Europa che ne escono sconfitti, certamente ammaccati come immagine e prestigio.
È utile citare qui un editoriale di Bernardo Valli su Repubblica: «La Francia - scrive Valli - nicchia. La Germania latita. L'Inghilterra è distratta. Insomma, al momento di partire, l'Europa se la squaglia».
Sì, quel che sta accadendo nel Libano e in tutto il Medio Oriente non è questione che riguarda solo Israele, che combatte per la sopravvivenza, ma tutti noi occidentali ed europei. Lo scrive sul Riformista anche un ex comunista autorevole che consideriamo con amicizia. È Emanuele Macaluso, che afferma: «Il comportamento dell'Iran, della Siria e delle forze terroristiche che, alle porte di Israele ne minacciano l'esistenza, non è solo un problema di Israele e degli Usa. È il problema della comunità internazionale (Ue e Onu), e non dovrebbe essere più tollerato. Invece c'è reticenza». Parole esemplari.
C'è indubbiamente una reticenza colpevole delle cancellerie europee e occidentali, il rifiuto di affrontare una realtà carica di rischi per il futuro. Manca la percezione delle conseguenze in prospettiva di quel che accade nel mondo arabo. C'è come il rigetto irresponsabile di una realtà innegabile: nel Mediterraneo si giocano i destini del Vecchio continente. Soprattutto per l'Italia: è lì il perimetro della sua cultura e dei suoi interessi. Almeno qualcuno dell’attuale maggioranza ha capito questa verità. Parisi, il ministro della Difesa, non ha esitato a definire la missione in Libano «lunga, impegnativa, costosa e rischiosa, e tuttavia doverosa». Non ci sono almeno l'ambiguità e l'ipocrisia di altri.
Una parola sul caso D'Alema. Definire Hezbollah un movimento politico e non un'organizzazione terroristica è qualcosa di più di una gaffe: rivela tracce della vecchia cultura massimalista e ha legittimato il terrorismo.
Ciò che conta è vedere cosa faranno in Libano le nostre forze armate e quelle che, sotto l'egida dell'Onu, invieranno altri Paesi. La risoluzione dell'Onu è tutt'altro che rassicurante con la sua riluttanza e ambiguità. Chi disarmerà Hezbollah? Le autorità libanesi hanno detto che non lo faranno. E se l'Onu non se ne fa carico, che si va a fare in Libano? C'è in un'intervista all'Espresso, una frase di D'Alema che merita considerazione: «Non c'è - egli dice - governo democratico senza il monopolio della forza». Ma allora come non pensare che il monopolio della forza libanese sarà di Hezbollah e quindi di Siria e Iran? E a chi sarà affidato il destino dei nostri soldati? L'ex nostro ambasciatore all'Onu, Francesco Paolo Fulci, persona serissima, ammonisce non a caso di non lasciarli guidare dalla burocrazia dell'Onu.
Dio ce la mandi buona, dunque.

E che la mandi buona all'Europa e all'Occidente se non prenderanno coscienza dei pericoli insiti nel fondamentalismo islamico che, oltre al fanatismo di Bin Laden, ora ha trovato la folle e malefica leadeship del persiano Ahmadinejad.

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