Nel «Turco» tutta l’ironia di Rossini

Antonio Cirignano

da Torino

«Sian maledetti tutti i Turchi del mondo!» è esclamazione oggi inconcepibile. Ma in bocca al povero Don Geronio, cornificato dalla giovane moglie Fiorilla con un principe turco di passaggio in Italia, la cosa trova comprensibile collocazione. Si presenta così Il turco in Italia di Rossini al Teatro Regio di Torino, con gli intrecci della commedia borghese classica. Ma anche con un elemento nuovo che il libretto di Felice Romani offre allo slancio sperimentale del giovane Rossini. E cioè la dimensione sdoppiata di un teatro che gioca con se stesso: il poeta Prosdocimo, alla ricerca di un'idea per il suo dramma, assiste dall'esterno ai fatti come uno che osservi la vita quotidiana. Vita reale e vicenda teatrale vengono così a coincidere sprigionando succose ironie. A cominciare dall'immagine che apre e chiude l'opera. Un teatro, appunto: boccascena e palchi laterali che in trasparenza lasciano intravedere lo sfondo dell'azione. Le scene mantengono ovunque una leggerezza che è tutt'uno con l'ironia, limitandosi ad ariose marine napoletane con qualche chiaro di luna dal sapore romantico. Così pure la regia, che gioca con le luci lasciando alla musica il centro della scena. Corrado Rovaris guida un buon insieme orchestrale e corale in un Rossini, se non trascinante, preciso e curato nelle dinamiche. I personaggi sono ben scolpiti sul piano drammatico, non tutti su quello vocale.

Come a dire che anche qui interviene uno sdoppiamento: da un lato la suadente Fiorilla di Eva Mei (che si arrende solo ai sovracuti dell'aria del secondo atto), il fiero Selim di Michele Pertusi, autorevole e seduttivo, l'eccellente Don Geronio di Alfonso Antoniozzi, dai tempi comici perfetti, o il Prosdocimo di Roberto de Candia. Dall'altro una schiera di comprimari (la zingara Zaida, il servente Don Narciso, il confidente Albazar) di statura vocale inferiore. La platea gratifica tutti con generosa imparzialità. In scena fino al 18 dicembre.

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