Nell’«Uomo medio» il grande fratello francese

Una commedia agrodolce sulla società di marketing. «Fearless» racconta il più grande esperto di arti marziali

da Milano

Si, è vero, fa caldo, gli spettatori stanno alla larga dalle sale cinematografiche, salvo i pochi in cerca di refrigerio ed il cinema offre in genere pellicole indegne della stagione migliore. Questo secondo la convenzione, tutta italiana, che considera sconveniente offrire pezzi pregiati nel periodo estivo, come se chi resta in città fosse figlio di un dio minore. Stavolta però i distributori l’hanno fatta grossa: quattro film di qualità in un solo week end. Presentato al Festival di Cannes dello scorso anno, Fast Food Nation, è un inatteso pugno nello stomaco, letteralmente, per tutti i frequentatori dei fast food, principalmente giovani. Costoro amano i film horror, bene, avranno di che spaventarsi di fronte a questa finta commedia, non propriamente elegante, talvolta girata con sciatteria e probabilmente sforbiciata dai distributori, ma senza dubbio destinata a lasciare i segno. Sarà interessante sapere quanti spettatori dopo la visione del film avranno il coraggio di farsi un hamburger con patatine.
Da qualche tempo il cinema americano più o meno esplicitamente affronta temi inusitati con encomiabile coraggio e talvolta con sfrontatezza, come usa fare il furbo Michael Moore, che con argomenti surrettizi, talvolta barando, mette comunque a fuoco questioni vitali. Ricordiamo Super size me di Morgan Spurlock, in cui lo stesso regista mostrava come si era ridotto ingurgitando per circa un anno i cibi di una celebre catena alimentare. Dal momento che siamo ciò che mangiamo, il regista Richard Linklater, autore di commedie logorroiche come Prima dell’alba, stavolta getta nel fuoco dei dannati tutte le multinazionali del fast food, quelle che creano dipendenza, che se ne infischiano della salute pubblica, nel nome del profit. Seguendo uno stile narrativo tipico di Altman, ma con minore qualità, segue le vicende di un marketing executive di una grossa catena di fast food che deve intraprendere un viaggio visitando alcuni centri di ristoro recanti il marchio della casa, allo scopo di scoprire le ragioni per le quali il loro pezzo forte, il popolarissimo Big One, risulta contaminato da escrementi ed altro. Un viaggio in un inferno gastronomico, infarcito di bravi caratteristi e con un formidabile cammeo di Bruce Willis, ma ricordare gli altri non è ozioso: Patricia Acquette, Ethan Hawke, Greg Kinnear, l’uomo del marketing, mediocre, ossequiente e pericoloso per la sua dedizione all’azienda. Kris Kristofferson, sempre più avvizzito. Il personaggio del marketing man mano viene abbandonato, poi, in un gradevole caos, forse per non spaventarci troppo, e come scatole cinesi si scoprono altri altarini, e l’orrore continua. Che tutto ciò abbia davvero intaccato le abitudini alimentari, davvero pessime, di miliardi di persone è solo una speranza ed a quella ci aggrappiamo. Un film dossier, ispirato dall’omonimo libro di Eric Schlosser, poi anche autore della sceneggiatura assieme al regista.

Tuttavia le scarse qualità registiche del film sono probabilmente dovute all’importanza del tema, che non si prestava a certi minuetti, tipici del cinema svagato e drogato che viene somministrato alle giovani leve, cinema demenziale, horror, fantasy, costruito allo scopo di rendere inoffensivo chi abbia voglia soltanto di vivere. Buon appetito. Ma il film va visto.

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