Nella festa del Toro sparisce la rete dell’Empoli

Alessandro Parini

da Torino

Che giornata, per il Toro. Vittoria 1-0 contro l'Empoli (rete di Comotto nel finale, con una sberla di sinistro da trenta metri finita dritta all'incrocio dei pali) e festa del Centenario in uno stadio Olimpico ricolmo di entusiasmo e passione. Nello spazio di tre weekend, la classifica granata ha così assunto toni trionfalistici o quasi: 9 punti di fila, addio alle zone basse e piedino messo nella parte medio-alta della graduatoria. Il gioco? Un dettaglio. L'importante è non prendere gol (uno solo negli ultimi 270', arrivato per di più a tempo scaduto - e a vittoria acquisita - contro l'Atalanta), farne pochi ma decisivi.
Così ieri, al termine di un match giocato come al solito con i nervi e poco altro, la truppa di Zaccheroni ha pescato il jolly e ringraziato la fortuna: il jolly è stato il gol di quello che resta comunque e sempre un giocatore affidabile, la fortuna ha assunto le sembianze del guardalinee Ivaldi. Il quale, dopo circa un quarto d'ora della ripresa, ha pensato bene di non vedere che la palla colpita di testa da Marianini su azione d'angolo aveva oltrepassato la linea di porta di almeno una ventina di centimetri: Barone ha fatto il suo dovere esibendosi in una spaccata al volo e l'arbitro non ha potuto far altro che dar retta al proprio collaboratore e far proseguire il gioco.
Il Toro ha ringraziato e si è rimesso a macinare gioco: lentamente e senza guizzi, fino all'invenzione di Comotto e alla successiva festa, proseguita sugli spalti a poi a San Giusto Canavese dove in serata si è tenuta una cena - presente tutta la squadra - per festeggiare i cento anni di storia della società granata.
Le celebrazioni erano cominciate con una Messa al mattino in quel di Superga e proseguite poi allo stadio a partire dalle 13. Con Paolo Pulici e Leo Junior premiati sul palco dal presidente Cairo e un altro centinaio di ex giocatori del Toro schierato in cerchio sul prato. Al cospetto di una folla adorante e composta, commossa e partecipe. Con lo speaker Piero Chiambretti che esaltava le gesta di ognuno dei vecchi campioni, snocciolando cifre e aneddoti. Tutti vestiti di granata, con l'apposita maglietta celebrativa e tanta voglia di esserci, urlando anche il proprio senso di appartenenza e la voglia di distinguersi dai cugini bianconeri. Contenti e commossi: da Agroppi a Policano, da Graziani a Rizzitelli, da Dossena, Bonesso e Torrisi (i tre dell'incredibile rimonta nel derby 1983: da 0-2 a 3-2 in poco più di cinque minuti), da Combin (tre gol alla Juve nel derby successivo alla morte di Meroni) a Martin Vasquez, Zaccarelli e avanti così.
E poi targhe commemorative consegnate da Cairo ai parenti di Valentino Mazzola, Gigi Meroni, Giorgio Ferrini e Orfeo Pianelli: qualche lacrima è scesa qua e là per una squadra che ovunque, in Italia e non solo, non può non essere guardata con affetto visto quello che ha rappresentato nel periodo post-bellico. Leo Junior: «Questa è casa mia, altro che Maracanà. Ricordo come fosse ieri l'angolo che calciai e il gol di Serena, all'ultimo minuto di un derby indimenticabile». Era la stagione 1984-85 e nessuno faceva notare al brasiliano che la porta indicata era quella sbagliata: lui indicava quella sotto la curva Scirea, in realtà il trionfo avvenne proprio sotto la Maratona.


Il solito muro di folla, quello che aveva cresciuto Pulici come un figlio: «Diventai un vero giocatore del Toro quando, dopo una serie infinita di botte prese in allenamento da Ferrini, reagii e gli tirai una gomitata. Giorgio non fece una piega, sorrise e mi diede il benvenuto nella famiglia granata: questo è il Toro». Voglia di non arrendersi. Un po' come ieri. Con tanti ringraziamenti a Ivaldi.

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