Neppure l’amore può cambiare un musulmano

C'è un tremendo equivoco di fondo nell'innamoramento che spinge una donna occidentale, e in particolare italiana, a unire la propria vita a quella di un uomo musulmano: lo ritiene suo contemporaneo. Diverso il fisico, certo; diverso lo sguardo, diversa la lingua, diverso il cibo: tutte cose che sembrano aggiungere fascino, invece che dividere. Anche i modi nel trattare le donne, in fondo, per quanto più autoritari, appaiono rassicuranti e protettivi in confronto a quelli occidentali. Ma pur sempre contemporanei. L'uomo musulmano, invece, appartiene al mondo dell'Antico Testamento, quello di 3000 anni fa, di Abramo e di Mosè, in quanto Maometto ha fondato il Corano sui primi cinque libri della Bibbia. Si tratta di un abisso in confronto al nostro mondo, non soltanto per tutti gli avvenimenti che hanno segnato il divenire del tempo e della storia in Occidente, ma soprattutto per le profondissime differenze di diritto e di costume nei riguardi delle donne. La società musulmana è tipicamente patriarcale. L'uomo è capo e padrone delle mogli e dei figli che gli devono obbedienza in tutto. La legge religiosa è l'unica legge in campo penale e civile. Vige la giustizia del taglione, con la mutilazione delle membra a seconda del tipo di reato e la condanna a morte per lapidazione per i crimini più gravi compreso l'adulterio. Insomma, è indispensabile capire che l'innamoramento non può cambiare nulla a una realtà di questo genere e che sono le donne a ingannarsi quando lo sperano e vi si affidano.
Purtroppo i politici avallano spesso con le loro affermazioni l'idea che gli immigrati possano «integrarsi» nella nostra civiltà e che comunque debbano rispettare le nostre leggi. Si tratta di belle affermazioni di principio che però non fanno i conti con i sentimenti culturali profondi, anche non del tutto consapevoli, e soprattutto non fanno i conti con la diversità di adattamento fra immigrati di sesso femminile e immigrati di sesso maschile. È chiaro che le donne trovano soltanto vantaggi nella libertà, nel rispetto, nell'uguaglianza. Ma per i maschi è tutta un'altra cosa in quanto debbono rinunciare a diritti e costumi che davano loro il potere nella famiglia e il possesso totale sulla persona della moglie e su quella dei figli. Non si pensi che l'affetto possa influire su questi diritti: gli affetti sono plasmati dalle culture.
Messo in chiaro questo presupposto, rimangono per noi in tutta la loro ferocia i delitti di questi giorni. È indispensabile fermare l'immigrazione musulmana. È indispensabile che il governo emani delle norme restrittive sui matrimoni o sulle convivenze miste e che, quando nascano dei figli, la tutela venga sorvegliata dallo Stato. Ma soprattutto è indispensabile eliminare il principio, adottato insieme al «politicamente corretto», di non giudicare le religioni. L'islamismo è una «religione-cultura» totale ed è assurdo non poterne discutere come si fa per qualsiasi altra cultura.

Se vogliamo avere rapporti più sereni anche con gli Stati islamici e aiutare almeno l'Africa ad uscire dalla condizione di arretratezza psicologica e sociale, oltre che dalla povertà, in cui si trova, abbiamo il dovere di parlare delle norme coraniche, della Sura che stabilisce l'inferiorità della donna, della necessità di assumere forme di diritto penale e civile adeguate al mondo moderno.

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