Nespoli: "Chiamatemi braccino corto"

Prima dei Giochi ha messo all’asta la sua arma per un rivale malato. Ieri, a vent'anni, aveva la freccia per l’oro: "Sono colpevole, volevo strafare. Se la squadra mi vorrà ancora mi rifarò a Londra 2012"

Nespoli: "Chiamatemi braccino corto"

Pechino - D’ora in poi, per vivere come un Nespoli serviranno gli attributi. Mauro è un ventenne di Voghera dagli occhi acuti e le guance rosse. Per seguirlo in gara non c’è bisogno di controllarne il tiro, cercando di pedinare la parabola che la sua freccia disegna nell’aria. Tanto meno è necessario osservare il risultato conficcato nel bersaglio. Molto più semplicemente, basta tenere d’occhio il colore delle gote. Se, dopo aver scoccato, s’intingono di un rosso leggero, allora quel tiro mica è tanto buono; se restano invece come mamma e abbronzatura le hanno fatte, allora vuol dire che ha centrato il bersaglio: dieci secco, alla peggio nove.

Ecco, ieri, le gote di Mauro hanno preso fuoco due volte. Al primo tiro della finale e all’ultimo. Due sette che messi assieme - la matematica in questo caso è un’opinione - fanno sei. O meglio: meno sei punti regalati agli assi coreani che hanno trasformato il braccio d’oro del ragazzo che aveva accompagnato la squadra in finale, in un braccino corto ma non per avarizia. «Il primo tiro l’ho sbagliato per la troppa emozione – ammette lui con la franchezza di chi gli attributi li ha per davvero –, ero tanto felice di trovarmi in finale; l’ultimo tiro l’ho ciccato perché sentivo l’oro vicino, ero euforico e volevo far bene, cercando quel dieci a tutti i costi… E la freccia mi è scappata». Sorry. «Il problema vero è che lo senti quando sbagli, senti che la freccia nell’aria suona in modo diverso: fa un rumore che non ti lascia scampo, che risponde alla tua domanda - sarà un buon tiro? - un attimo dopo averla scoccata».

Come quel giorno del 1997 quando in vacanza con la famiglia ad Aprica, Maurone impugnò per la prima volta l’arco. Fu amore a prima vista. La freccia della passione anziché dirigersi verso la bella moretta che aveva fin lì tampinato, cambiò traiettoria e andò in autogol infilzandolo dritto nel cuore sportivo. Da quel giorno pensò solo e soprattutto ad allenamenti e gare. Un bravo cristo, il Nespoli, e anche per questo pesa un poco crocifiggerlo. Esempio: nei mesi scorsi ha messo all’asta un suo preziosissimo arco per raccogliere soldi da inviare a un arciere israeliano malato di tumore, Yaron Tal. Purtroppo, il giovane è deceduto proprio alla vigilia dei Giochi.
Spiace, dunque, vedere Maurone qui, con le guance rosse e il viso triste. Mentre fa da bersaglio agli arcieri con penna e taccuino, Marco Galiazzo - che deve essergli se non amico, almeno paziente consigliere - lo ascolta e sgrana gli occhi: «Aah, quindi l’avevi capito subito di aver sbagliato?», e l’altro, «certo, era troppo alta…». È a quel punto che confessa: «Sì, mi sento il vero colpevole, anche se quando si gareggia in squadra siamo soliti dire che le frecce sbagliate non hanno nome… Però la mia ce l’ha: stavolta avete la carta d’identità del vero colpevole».

Quindi, il pacioso e furbo e tremendamente in forma Marco Galiazzo ha un motivo in più per cercare la via dell’oro individuale. Esiste infatti la possibilità che al secondo turno, lui e il Nespoli, s’incontrino. Al campione olimpico di Atene basterà pensare che se non è oro quel che attualmente luccica al suo collo è solo per colpa del compagno: e giù a lanciar dardi per sconfiggerlo. «Non so, vedremo che cosa succede» si fa serio il ragazzone col braccino, «di certo io e Marco conosciamo tutto l’uno dell’altro, sarebbe una grande sfida, anche se credo che di frecce ne sbagli meno lui di me… Però sarebbe il massimo se lo battessi: a quel punto non potrei tornare in Italia con lui, molto meglio restare qui a Pechino. Prima gli faccio perdere l’oro a squadre e poi lo sconfiggo nell’individuale? No, non esiste, sarebbe troppo, non me lo perdonerebbe». E forse già non lo perdona, visto che il Nespoli mette le mani avanti: «Qui al villaggio, io e Marco dormiamo nella stessa stanza, ma stasera preferisco che gli archi restino fuori, non si sa mai».

Galiazzo ridacchia pacioso e furbo. Lo guarda ancora un attimo, sorride e sussurra: «Mauro, te l’avevo detto, tira sereno che il giallo del centro è grande…».

E il povero Nespoli: «Hai ragione… ma io ero euforico… Vabbè, se la squadra mi vorrà ancora, mi rifarò a Londra, nel 2012… Ovvio: se sopravvivo questa notte». Un timido sorriso e le gote s’incendiano di nuovo. Che sia vera preoccupazione?

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