Nespoli, dall’oratorio allo Shuttle: «L’obiettivo? Raggiungere Marte»

«Puntate in alto, guardate avanti. Le stelle non sono poi così lontane» è il suo messaggio. Lui, l’astronauta Paolo Nespoli, 50 anni, è andato avanti e in alto, ma continua a sentirsi il ragazzo dell’oratorio di Verano Brianza che di tanto in tanto rivede i vecchi amici davanti a un bicchiere di vino e qualche fetta di salame. Paracadutista, incursore del «Col Moschin», missione «Libano 2» dove conosce Oriana Fallaci che lo incoraggia a «fare di più». E ora ha un curriculum mozzafiato con laurea in Ingegneria, maggiore della Riserva dell’Esercito, Corpo astronautico dell’Esa (la Nasa europea), progetto EuroMir, corso per comandare il braccio robotico dello Shuttle, addestramento Nasa e missione a bordo dello Shuttle per raggiungere la Stazione spaziale oltre le Colonne d’Ercole della stratosfera, dove il giorno dura novanta minuti e il tramonto fra i sei e gli otto secondi.
«A volte riuscivo a intravedere la pianura Padana, ma risultava difficile distinguere Milano». Già, e anche Verano Brianza. Simpatico, con un linguaggio efficace e diretto, Nespoli ha raccontato le sue esperienze ieri a palazzo Cusani, nell’incontro organizzato dal comandante Esercito Lombardia Camillo de Milato, tenendo platea e rappresentanti delle istituzioni con il fiato sospeso per oltre un’ora. Prima fatti e aneddoti sul severo addestramento, poi il filmato con i dettagli della missione Sts 120 conclusasi pochi giorni or sono. «L’obiettivo? Terminare la stazione spaziale, da lì partire per crearne una sulla Luna e da quest’ultima raggiungere Marte». Semplice, no? L’assenza di gravità? «Fate conto di scendere una scala e non esservi accorti che manca l’ultimo gradino. Quel senso di vuoto che vi dura una frazione di secondo, per noi è durata quindici giorni». E quando galleggi nell’aria, dove non esiste più il «su» né il «giù», puoi sederti sul soffitto o sdraiarti lungo una parete. Ecco la partenza dello Shuttle, i corpi sono schiacciati a 3G per cinque minuti, poi ci si stabilizza a 400 chilometri di altezza viaggiando nello spazio a 28mila 500 chilometri l’ora. Quindi il delicatissimo aggancio del «Nodo 2», orgoglio della tecnologia italiana, con la Stazione spaziale. La tolleranza del «rendez vous» è di due centimetri e mezzo. Quindi l’abbraccio commosso con gli uomini della stazione e il rinfresco di benvenuto.
«Tutti a sgomitare attorno al tavolino con i pop corn, mentre io li ho raggiunti arrivando dall’alto». Il pathos è quando si valuta lo strappo nel pannello solare da 40 metri e bisogna ripararlo mediante «gemelli». La squadra esce nel vuoto e, a piccole spinte «altrimenti ci si allontana di chilometri e si saluta tutti per sempre», raggiunge la struttura e ripara il danno. Sembra di assistere a un film di fantascienza, ma è realtà vissuta. «Alla fine siamo soltanto idraulici, elettricisti e meccanici d’alta quota» si schermisce l’astronauta con un sorriso. A bordo il lavoro è intenso e continuo, gli spazi sono angusti, il contatto con Huston è permanente e ti rimane a malapena il tempo di dire «Che bella Terra stasera». «Ma per andare in bagno?». Chiede una giovanissima studentessa. Domanda alla quale tutti hanno pensato, ma che solo una ragazzina ha osato fare.

E Nespoli spiega, fra l’ilarità generale, gli specifici addestramenti alla base di Huston e il comparto dello Shuttle adibito alla «aspirazione personalizzata» dei liquidi e dei solidi. A proposito di bagno: quello di bordo costa 26 milioni di dollari. E non ha neppure le piastrelle in ceramica.

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