Il Gruppo OPERA ha dato la prima risposta alle numerose critiche su possibili «errori sistematici» in grado di invalidare la conclusione sulla velocità dei neutrini. Questa risposta riguarda la «partenza» dei neutrini, che è molto complessa. Ha inizio al CERN con i protoni di alta energia che generano un fascio di «mesoni» i quali si trasformano in altre particelle tra cui i neutrini. Questa trasformazione avviene lungo un tunnel da un chilometro. Dal CERN parte quindi un «treno» di neutrini lungo ben mille metri.
A generare questo treno di neutrini sono - come detto prima - i protoni di alta energia, la cui struttura temporale è di fondamentale importanza. Nell'esperimento di OPERA la struttura in tempo dei protoni era di ben diecimila nanosecondi. Stava qui la prima difficoltà.
Siamo proprio sicuri che non ci siano errori «sistematici» nel passare dai diecimila nanosecondi di partenza ai sessanta nanosecondi nell'arrivo dei neutrini?
Era necessario partire con un fascio di protoni molto più stretto nel tempo. Partendo con un fascio di protoni - ciascuno di 3 nanosecondi - e distanti uno dall'altro 524 nanosecondi, il gruppo OPERA ha osservato al Gran Sasso 20 eventi di neutrini che riproducono la stessa struttura temporale dei protoni di partenza. I temuti effetti «sistematici» non ci sono. È così superata la prima difficoltà.
Come detto più volte su queste colonne quando la scoperta di OPERA sarà confermata da altri esperimenti avremo sul piatto delle certezze scientifiche la più grande scoperta degli ultimi 420 anni. L'avventura scientifica che ci ha portato agli orologi atomici e ai neutrini parte infatti con Galileo Galilei 420 anni fa, quando il padre della Scienza di primo livello cercò di capire cos'è la luce. A quei tempi nessuno sapeva alcunché sull'esistenza dei neutrini, le più leggere particelle dell'universo. E si sapeva poco, quasi niente, della luce. Non se ne era capita la natura e tutti la pensavano dotata di velocità infinita. Tutti eccetto Galileo Galilei che pose la domanda: qualcuno ha misurato la velocità infinita della luce? Risposta: nessuno. Era quindi necessario misurarla. Le tecnologie di quei tempi erano le lanterne come sorgenti di luce e il ticchettio del polso come orologio.
Se la velocità della luce fosse stata trenta volte superiore alla velocità del suono, Galilei sarebbe riuscito a scoprire che la velocità della luce non era infinita. Purtroppo la luce viaggiava (e viaggia) a una velocità che è ottocentosettantamila volte superiore a quella del suono. Ecco perché l'esperimento non dette a Galilei il risultato sperato.
Oggi siamo agli orologi atomici e sappiamo misurare i tempi di volo delle particelle subnucleari con precisione da 15 picosecondi. È questo l'ultimo record ottenuto al CERN proprio in questi giorni. Un picosecondo è un millesimo di nanosecondo (miliardesimo di secondo). L'incertezza nella misura di OPERA è di 15 nanosecondi; se fosse di 15 picosecondi sarebbe mille volte meglio. A questo traguardo siamo arrivati partendo da Galilei che nel 1591 cercò di misurare la velocità della luce.
Partendo dal 1591, per capire cos'è la luce (una vibrazione del campo elettromagnetico), ci sono voluti trecentocinque anni con tante scoperte e invenzioni su cosa fanno le cariche elettriche e le calamite. La descrizione di queste scoperte richiederebbe centinaia e centinaia di pagine. La loro sintesi è in appena quattro righe: le quattro equazioni di Maxwell. Fu la più potente sintesi rigorosamente logica di tutte le scoperte in Elettricità, Magnetismo e Ottica. Questa sintesi esigeva l'esistenza di una velocità assoluta: quella della luce che è di circa un miliardo di chilometri l'ora. Nella Conferenza Mondiale dei Fisici del 1896, trecentocinque anni dopo l'esperimento di Galilei, Lord Kelvin tenne la lezione d'apertura dicendo: «Cari colleghi, grazie alle quattro equazioni di Maxwell possiamo dire di avere finalmente capito cos'è la luce e che la sua velocità è una costante fondamentale della natura. Non può esistere alcun modo di trasmettere segnali a velocità superiori». Nasce così la comprensione rigorosa di tutti i fenomeni elettromagnetici cui si da il nome di Elettrodinamica Quantistica (QED: Quantum ElectroDynamics).
Chi scrive ha realizzato la prima rigorosa verifica di QED. Per far questo è stata necessaria l'invenzione di una nuova tecnica (oggi in uso in tutti i laboratori specializzati) per costruire campi magnetici polinomiali di altissima precisione. Senza QED non potrebbero esistere tutte quelle cose entrate nella vita di tutti i giorni: radio, TV, cellule fotoelettriche, telecomandi per aprire e chiudere le porte, telefonini, computer, Internet, tecnologie mediche (Raggi X, TAC, PET, Risonanza Magnetica, bisturi laser etc.) che hanno portato la speranza di vita oltre gli 80 anni ed elettrodomestici di ogni tipo; né alcun astronauta avrebbe potuto metter piede sulla Luna, se non avessimo scoperto QED: la logica delle Forze Elettromagnetiche che ha il suo baluardo nella velocità della luce, costante e assoluta. Se è vero che i neutrini battono la luce in velocità, bisogna capirne le radici, che potrebbero essere numerose.
Le radici preferite da chi scrive sono nel Supermondo. In questo caso come la mettiamo con la tecnologia entrata nella vita di tutti i giorni? Niente paura, la nostra tecnologia non andrà in crisi in quanto ha radici in QED. Sono le estrapolazioni teoriche - incluse tutte le elucubrazioni filosofiche - che entreranno in crisi. Una cosa è certa: lo spazio-tempo con le 4 dimensioni (3 di spazio e una di tempo) non basta per descrivere ciò che abbiamo finora capito sulla Logica che regge l'universo.
Ci sono oggi almeno sette «motivi» che portano all'ipotesi del Supermondo, con le sue 43 dimensioni. Nessuno può prevedere i possibili sviluppi delle nostre ricerche intese a decifrare la Logica nella quale potrebbe entrare la velocità dei neutrini. Esattamente come nel 1896 né Kelvin né alcun altro fisico avrebbe saputo immaginare l'enorme quantità di scoperte scientifiche e di invenzioni tecnologiche occorse dal 1896 al 2011, grazie a QED.
Una cosa è certa: se esiste il Supermondo si aprirà per tutti un orizzonte scientifico con 43 dimensioni di spazio-tempo.*Autore del Progetto Gran Sasso e professore emerito di Fisica superiore nell'università di Bologna
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