Nicolas, il farmacista che non dorme mai

«Gli anziani all’inizio sono un po’ diffidenti, poi scoprono che non c’è motivo e si aprono»

Gaia Cesare

«Due gocce tre volte al giorno e vedrà che la sua congiuntivite passerà presto», dice a un cliente, mentre il suo turno finisce per protrarsi di oltre mezz'ora. «Quando si lavora con il cuore succede così. Arriva la gente, molti hanno bisogno di essere ascoltati e li devi lasciare sfogare, essere accogliente e ispirare fiducia, anche dopo aver passato tutta la notte al lavoro». Sono le otto del mattino, ora di punta. C'è un gran via vai davanti alla stazione di Porta Genova. La città si sveglia, comincia una nuova giornata di lavoro. Non per Nicolas, però. Per lui il lavoro sta per finire. La notte è passata e il suo turno è completato.
Nicolas Monkam ha 38 anni ed è uno dei pochi, circa 190, camerunensi presenti a Milano. Una comunità piccola anche per l’intera Lombardia: 1.100 in tutto, di cui 880 circa residenti, 90 regolari non residenti e 170 circa irregolari, secondo le stime più recenti dell'Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità. E Nicolas è uno di quei camerunensi che a Milano si fa notare, non solo per i tratti fisici che svelano le sue origini. Ex studente all'Università di Perugia, dove si è laureato dopo l'arrivo in Italia nel '93, oggi Nicolas è un farmacista, che si divide fra il lavoro in due punti vendita milanesi, uno dei quali, la farmacia di Porta Genova, conta ben altri quattro colleghi camerunensi.
Il perché di questa coincidenza, che vede Denis, Joseph, Jean Baptiste ed Elisabeth all'opera nella farmacia dei Navigli? «Dipende dall'apertura mentale del titolare. La paura dell'altro c'è, la diffidenza resiste, ma molti, come il mio datore di lavoro, non hanno barriere culturali». E i clienti? «All'inizio, soprattutto gli anziani, sono diffidenti. Poi scoprono che la paura è vana e si aprono. La nostra presenza, secondo me, è incoraggiante per molti stranieri che gravitano su una città come Milano, è il segno che questa è una realtà internazionale e giova il fatto che molti di noi parlano diverse lingue». È brutto, aggiunge Nicolas, «quando stai male e qualcuno non ti capisce. Poi Milano è una città di commercio e quando devi fare soldi non guardi al colore della pelle ma ai risultati». Le difficoltà tuttavia, non lo nega, ci sono state. Al suo arrivo a Milano, nel 2002, a caccia di lavoro, qualcuno sentiva la voce straniera al telefono e riattaccava.
Ora la vita è più facile, Nicolas si sente più integrato, anche se il vero problema restano gli orari difficili del suo lavoro. Con i turni di notte, incontrarsi con gli amici camerunensi diventa complicato. Ma Nicolas ha le idee chiare su quello che si potrebbe fare per la sua e per altre comunità: «Costituire per esempio delle associazioni, perché sia più facile trattare con l'amministrazione, avanzare richieste. Gli obiettivi si definiscono tutti insieme. E poi confrontarsi, in gruppo, ti insegna molto. Ti accorgi che quello che è prioritario per te, per molti altri non conta».
E degli scioperi? Della serrata delle farmacie nei giorni scorsi, cosa ne pensa? «Non sono contrario alle liberalizzazioni, che rendono le cose più agevoli - spiega Nicolas -.

Però attenti: a vendere i farmaci devono essere degli esperti. Altrimenti il rischio è che il governo finisca per spendere più soldi per curare le conseguenze che sui clienti può avere la cattiva assunzione di medicinali».

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