Niente aborto, quei padri buoni che si tengono i figli delle corna

In "Baciami ancora" Favino riaccoglie la moglie fedifraga rimasta incinta di un altro. In "Tutto l’amore del mondo" il bimbo è di colore. Nel film di Virzì la madre si presta al posto di una moglie sterile

Niente aborto, quei padri buoni che si tengono i figli delle corna

Il nostro cinema s’è fondato sull’infedeltà quasi quanto quello francese. Pilastri ora della farsa, ora del dramma, le corna erano sempre un trauma, mentre diverranno un’abitudine con la commedia all’italiana. I loro prevedibili frutti restavano però sempre dei «bastardini».

Ora c’è una svolta. Nel principale film del momento, Baciami ancora di Gabriele Muccino, l’infedeltà coniugale e la derivante maternità adulterina costituiscono uno degli episodi principali. E qui non c’è più ludibrio per l’interessato (nel lessico prevale il «cornuto»; è rara la «cornuta»), anzi. Pierfrancesco Favino è un avvocato romano quarantenne, che vota per Fini («non dovrei?», conferma implicitamente agli amici quando glielo rinfacciano) tradito dalla moglie (Daniela Piazza). E lei è incinta dell’altro quando torna da lui. Il quale riprende lei e accetta il nascituro. «La vita - riflette a uso dello spettatore - non ci dà sempre le cose come le vogliamo, ma l’importante è che ce le dia».

Per capire quanto si sia lontani dalla logica di Sedotta e abbandonata e Divorzio all’italiana di Pietro Germi, si noti come l’onore sessuale non sia più preso in considerazione, nemmeno dagli amici. E nemmeno l’aborto. È vero che l’avvocato è sostanzialmente sterile, ma il suo movente non è lo stato di necessità: è l’amore per lei e per chi da lei viene, in qualsiasi modo.

C’era già stata un’indicazione simile nella Prima cosa bella di Paolo Virzì, dove il personaggio di Micaela Ramazzotti (nella realtà moglie di Virzì) - separata, non divorziata dal marito - alla fine degli anni Settanta, accetta di dare un figlio a un avvocato, la cui moglie è sterile. Nel presente del film, cioè oggi, prole legale e prole un po’ meno legale si uniscono nel dolore per la morte della comune madre.
Ancora. In Tutto l’amore del mondo di Riccardo Grandi, che uscirà in marzo, lo scrittore di guide turistiche Nicolas Vaporidis e il suo fotografo Alessandro Roja frequentano due ragazze: quella impersonata da Ana Caterina Moriaru è fidanzata con un altro; quella impersonata da Myriam Catania è reduce - e lo dice - dalla scappatella con un «abbronzato»... Il finale lo scoprirete al cinema.
«Mater semper certa, pater numquam», insegnava il diritto romano, che certo non era matriarcale. Promiscuità ed eventuali conseguenze sono stati e restano dunque imbarazzanti, ma non distruggono più un amore. O almeno non distruggono un amore da film. E qui nessuno pensa d’abortire...

I tempi cambiano, ancora una volta. Poco più di trent’anni fa, Luchino Visconti mostrava l’infanticidio per adulterio nell’aristocrazia romana dell’Innocente, tratto da D’Annunzio, senza scandalizzare; e Ugo Tognazzi presentava le cliniche svizzere come «fabbriche di angeli» per ragazze-bene milanesi nel Fischio al naso, tratto da Buzzati. Meno di mezzo secolo fa, Pietro Germi mostrava la «normalità» del delitto d’onore in Divorzio all’italiana e in Sedotta e abbandonata, dove il cornuto poteva scegliere: o emarginato a vita o arrestato e redento, come «eroico» assassino della fedifraga.
Tutto è parso a lungo una fase triste ma obbligata nella storia sociale dell’Italia. Eppure, nei primi anni del dopoguerra, quando la pineta di Tombolo era un bordello interrazziale a cielo aperto, un cinema attento alle disposizioni della Dc - nella persona di Giulio Andreotti - raffigurava l’Italia devastata materialmente e moralmente con carità, specie verso le «peccatrici» (vedi Campane a martello di Luigi Zampa, con Gina Lollobrigida e Yvonne Sanson).

Quando comincerà la ripresa, alla carità subentrerà un rigore formale che celava la licenziosità sostanziale, come si coglie dalle situazioni del Moralista di Giorgio Bianchi, dove Alberto Sordi faceva del censore democristiano del cinema, a quel punto Oscar Luigi Scalfaro, uno zelatore.

Ormai era il 1959 e - nel teatro di posa accanto a quello del Moralista - Federico Fellini girava La dolce vita... Era l’inizio della fine di un’epoca. Oggi siamo in un’altra, quella della famiglia allargata. Che sarebbe allargata meglio, se lo fosse per affetto, più che per licenza.

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