La ninfomane promette, ma non mantiene. E grida alla censura

Lunedì si decide sul divieto ai minori per il film. L’autrice del libro, esclusa da "Quelli che il calcio", protesta: non c’è libertà

La ninfomane promette, ma non mantiene. E grida alla censura

Roma - La notizia è che neppure il manifesto bis di Valérie, diario di una ninfomane, ritoccato ad hoc, cioè alleggerito da una fascia nera che copre la mano birichina immersa nelle mutandine di pizzo, sarà affisso sui muri d’Italia. Al massimo rifulgerà all’interno dei cinema, a discrezione degli esercenti. Il tutto appare un po’ esagerato. Tommaso Tabarelli, direttore marketing di Mediafilm, la società che distribuisce, insiste a buttarla sulla censura, sia pure indiretta, parlando di «un’onda montate di ipocrita bigottismo». Sostiene che, al grido di «a Roma c’è il Vaticano e non si può», le concessionarie di pubblicità hanno rispedito al mittente il manifesto originale e pure quello emendato nel tentativo di superare il blocco. Sarebbe la parola «ninfomane», evocatrice di copiose dissolutezze femminili, più del gesto allusivamente masturbatorio, a urtare quello che un tempo veniva detto «il comune senso del pudore». Addirittura - ma sarà vero? - qualcuno avrebbe protestato: «Quella foto invita esplicitamente al peccato». Bum!

Lunedì Valérie, diario di una ninfomane va in commissione di revisione, e chissà se gli toccherà un ragionevole divieto ai minori di 14 anni o quello, più punitivo, ai minori di 18. Francamente, nonostante il fracasso mediatico alimentato dai distributori in vista dell’uscita del 30 aprile, il film di Christian Molina, dal romanzo autobiografico di Valérie Tasso (uno pseudonimo), non sembra così audace e bollente, addirittura hard, come vuole la chiacchiera. Nulla in confronto a Romance di Catherine Breillat, Intimacy di Patrice Chéreau, Guardami di Davide Ferrario. Come ha scritto Ranieri Polese su Magazine, «nei modi un po’ invecchiati del cinema erotico di venti e più anni fa (amplessi simulati, dissolvenze, sospiri), il film descrive una parabola triste, con redenzione finale».

Bélen Fabra, l’attrice iberica che dà corpo - bel corpo, algido, un po’ da fotomodella - alle fantasie erotiche di Valérie è più sensuale vestita dal vivo che sullo schermo, dove pure molto si spoglia. Ma è lei, Valérie, che si presenta all’incontro piena di appunti scritti, a prendersi la scena: parla, divaga, sentenzia, anche un po’ a sproposito. Come quando, nel commentare la decisione di Raidue di escluderla da Quelli che il calcio, insorge e dice: «Sono preoccupata per la stampa italiana, nel vostro Paese non c’è più libertà». O come quando, nel difendere la vocazione sessualmente promiscua del personaggio (quindi di se stessa) contro il pregiudizio morale maschile, tira in ballo addirittura il Papa e Berlusconi. «Anche loro sono esseri sessuati, dispongono di genitali, di un sistema endocrino, ma hanno valori diversi dai miei, per questo non potranno mai apprezzare questa storia», scandisce la battagliera quarantenne, sedicente «femminista morbida», di sicuro poco informata sulle attitudini del premier in materia.

La storia è nota. Francese trapiantata in Spagna, colta e di buona famiglia, la ventinovenne Valérie pratica il piacere sessuale senza inibizioni, come conoscenza di sé. Ogni orgasmo è «un viaggio siderale che mi porta verso l’infinito» (risate in sala), per compiacere il partner si presta ai più vari giochi erotici, bottiglietta di Coca-Cola inclusa. Quando incontra l’amore, nella persona di un riccone gentile e romantico, crede d’essere in paradiso: ma l’uomo a letto è un disastro, anche geloso, violento. Meglio scappare. E intanto, avendo perso il lavoro in azienda, Valérie si dà alla prostituzione di lusso, diventa una belle de jour, vivendo con mucho gusto rapporti mercenari con politici, manager, avvocati, spesso vulnerabili o ridicoli. Sei mesi nel bordello, per libera scelta. Poi smette.

«So cosa devo fare per saziare il mio appetito», sospira Valérie nel film. La nonna premurosa le ha appena spiegato, prima di morire, che «la ninfomania è una cosa inventata dagli uomini perché le donne si sentano in colpa se non sono come le altre». Raddoppia la vera Valérie: «Il sesso per me è un valore, non un problema. Quando si fa educazione sessuale purtroppo trasmettiamo un problema». E ancora: «La vera domanda è questa. I miei genitali appartengono allo Stato o io ho la libertà di decidere cosa farne?».

La scrittrice ricorda, con qualche ragione, che «si possono fare libri e film con titoli come Diario di un assassino, ma se dici ninfomane, anche con una punta d’ironia, tutti insorgono». Ne discende: «Non ho ricette pronte, non do consigli alle donne, non faccio l’apologia della prostituzione. Dico che il sesso non si insegna, si vive». Intanto, però, s’è riciclata come sessuologa.

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