No, è solo una donna che «batte» in ritirata

Sono ventidue-anni-ventidue che ci sentiamo dire che Pretty Woman è una «meravigliosa favola». Ce lo sentiamo dire da tutti: uomini, donne, laureati, commesse, giovani, vecchi, migliori amiche, conoscenti detestate, grassi, magri, scettici di sinistra, ottimisti di destra, sposati, fidanzati, aridi a oltranza ... In ventidue-anni-ventidue abbiamo notato una trasversalità quasi sospetta nell’osannare questa commediola alla fine rinnegata (se non altro) dal suo protagonista (Richard Gere). Una cosmica, fastidiosa, costante benedizione nei confronti di una pellicolina rosa dal peso impalpabile che chissà perché è diventata un simbolo. Il simbolo sbagliato.
Un film che è un inspiegabile (a nostro avviso) collante ideologico che ha attraversato anni e opportunità, revisionismi e disincanti, classi sociali e ideologie. Ma perchè quella sciroccata senza stile che schiacciava gomme da masticare sotto il tacco dello stivale in lattice, con quell’improbabile permanente, che si manteneva con quell’imbarazzante mestiere, con un malriposto orgoglio nei confronti della sua ineducazione, alla fine si è presa Richard (bello, milionario, generoso, intelligente, spiritoso...)?. Ma perché Richard, alla fine, se l’è portato a casa una come lei? Che faceva la prostituta, che metteva in imbarazzao il direttore dell’albergo, che veniva presa di mira dalle spocchiose venditrici dei negozi alla moda? Se quello che è successo a Julia Roberts succedesse nella vita reale, non ci sarebbe una-sola-donna-una ad andare in sollucchero per la bella favola. Se il nostro migliore amico che da tutta la vita consideriamo figo, se nostro cugino del quale da tutta la vita siamo segretamente innamorate, se perfino quel catorcio di nostro marito, nella vita vera si mettesse con l’equivalente della Julia Roberts nel film, sappiamo tutte benissimo con quale «titolo» riusciremmo a sintetizzare l’intera faccenda a nostra madre: «Tizio si è messo con una p...». Invece, chissà perchè, la stessa storia sul grande schermo, è diventata una specie di zuccherosa rivincita sociale benedetta da chicchessia. E quel catastrofico modello di donna in minigonna è diventata l’evoluzione naturale di Cenerentola. Non è un caso se la migliore amica di Julia (la parte migliore di Julia), a un certo punto la paragona proprio alla sfigata della scarpina sulla zucca-carrozza.


Solo che Cenerentola avava il nasino all’insù, nobili origini, un’anima mansueta, due sorellastre stronze che le facevano patire di tutto e un fazzoletto (non stivali in lattex) dentro il quale raccogliere i capelli quando si metteva in ginocchio a strofinare pavimenti... Per forza che si faceva il tifo. Altro che Pretty: Woman.

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