«Noi crediamo nell’Italia la crisi non deve fare paura»

Federico Golla, 56 anni, laurea in ingegneria elettronica, un background professionale di grande prestigio che lo ha portato ad arrivare alla carica di amministratore delegato per l’Italia nell'azienda, la tedesca Siemens in cui ha speso impegno ed energie.
Ingegner Golla entriamo in argomento: lei crede nell'Italia?
«Una domanda impegnativa. Ma a cui sarebbe limitativo rispondere senza guardare al recente passato, alla crisi, pesantissima, del 2008. Eravamo tutti convinti di essere usciti da quella crisi sulla scorta di indicatori incoraggianti come il Pil, che ci invitavano a prendere atto di un innegabile risveglio economico e produttivo e invece siamo piombati in una crisi peggiore. Ma c'è una differenza sostanziale, questa volta, ed è che questa crisi peggiore non è solo italiana. È una crisi che l'Italia condivide e paga assieme ad altri Paesi che vengono generalmente considerati più affidabili».
Si riferisce anche alla «sua» Germania, per esempio?
«Diciamo che anche la grande Germania da sola non va da nessuna parte. Perché questa crisi dovrebbe una volta per tutte insegnarci che l'Europa deve muoversi sempre più congiuntamente se vuole affrontare e risolvere questo tipo di emergenze. Non c'è una Grecia con i suoi problemi, un' Italia con i suoi etc. Ma c'è un Europa con i problemi dei Paesi che la compongono e quindi per risolvere quelli contingenti deve nascere la consapevolezza di una visione strategica comunitaria».
Un'azienda tedesca che si fida degli italiani, mi lasci dire che è incoraggiante comunque…
«E a me lasci dire che, sia pure tedeschi, siamo in Italia da quindici anni e, con i nostri cinquemila dipendenti, ci sentiamo italiani. Non sarà certo una crisi temporanea a farci cambiare idea sul Paese in cui abbiamo deciso, in tempi non sospetti, di insediarci. Perché Siemens resta convinta che l'Italia sia un Paese ricco di potenzialità, con grandi competenze meccaniche, di elettronica, e di elettrotecnica e dalle grandi qualità e opportunità tecnologiche».
Anche per questo motivo oggi in Umbria inaugurerete un nuovo impianto a tecnologia solare?
«Esattamente. Siemens va dove c'è innovazione e l'opportunità offerta nel polo tecnologico di Massa Martana, dove metteremo a regime un impianto a concentrazione solare è un'altra occasione importante che ci sentiamo di cogliere, con un investimento di alcuni milioni di euro».
Assisterà anche Emma Marcegaglia non particolarmente ottimista sul futuro dell'Italia…
«Non voglio esprimere un giudizio sul pensiero personale della presidente di Confindustria e sulle sue dichiarazioni, ma mi sento di dire che il cambiamento di mentalità deve cominciare partendo anche, se non proprio, da Confindustria, un organismo autoreferenziale, con troppe organizzazioni al suo interno. Questo tipo di struttura non fa altro che far perdere di vista l'obbiettivo primario che è quello di offrire servizi e sostegno alle aziende. Il sistema Confindustria oggi non è certo snello né così efficiente al punto da permettersi di continuare a considerare che i problemi stanno tutti dall'altra parte. I problemi, al contrario, stanno anche in Confindustria».
Un suggerimento telegrafico
«Tornare allo spirito che c'è stato tra gli Anni 60 e 80, gli anni del boom, dove ciascuna delle parti sociali, sindacato compreso, pur tutelando i propri interessi, ha permesso, con il buonsenso, al Paese di crescere».
Che ci dice ingegnere riguardo al partito dei disfattisti?
«Io faccio parte di quel club che non ama parlare male del nostro Paese. Ma questo non toglie che non si vedano alcune storture tipicamente italiane: il problema atavico del Mezzogiorno, l'incertezza delle norme, sono soltanto alcune delle ostacoli che l'Italia pone al mondo imprenditoriale»
Eppure molti suoi colleghi nel convegno di Cernobbio non hanno brillato per entusiasmo?
«A Cernobbio c'era un pessimo clima meteorologico che, probabilmente, ha ispirato negativamente anche molti relatori. L'Europa non è affatto morta, come non è morto l'euro. Per risollevarci dobbiamo prima di tutto crederci, perché i cambiamenti avvengono quando ci si crede. La visione di molti a Cernobbio è stata esageratamente catastrofica.

Al contrario, basta guardare un po'più lontano, porsi obbiettivi di medio termine, pensare ai prossimi cinque-dieci anni con lungimiranza. In questa prospettiva la crisi non ci deve far paura perché anche l'Italia ha tutti mezzi per uscire dai suoi problemi».

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