"Noi due Santi Francesi abbiamo vinto il talent, ma l'X Factor conta ora"

Dopo il trionfo (atteso) il duo pubblica un disco "Al provino Ambra ci consigliò un analista..."

"Noi due Santi Francesi abbiamo vinto il talent, ma l'X Factor conta ora"

La domanda più frequente dopo aver vinto X Factor?

«Come vi sentite?».

E come vi sentite?

«Sballottati, almeno così direbbero i Tropea».

I Santi Francesi sono Alessandro De Santis e Mario Francese e modificando appena i loro cognomi hanno creato il duo che ha vinto X Factor. Prima erano sconosciuti, ora hanno la madre di tutte le opportunità: capitalizzare i voti del talent show (finale da 1.563.000 spettatori medi con 10,1 per cento di share e 828mila interazioni social) ed iniziare a vivere di vita propria. Prima di entrare nella squadra del coach Rkomi, il cantante e chitarrista Alessandro lavorava a Milano da Decathlon, mentre il tastierista e bassista Mario campava come programmatore web. Già notati ad Amici nel 2017 come The Jab (erano in tre), hanno continuato a fare musica, a crescere, a sperare come fa chi davvero ci crede senza piangersi troppo addosso o gridare subito al complotto. E a X Factor la loro ricetta musicale ha convinto quasi tutti, trasformandoli nei pochi vincitori non contestabili della storia di questo talent. Bravi sono bravi. Coraggiosi pure. E, soprattutto, hanno messo al centro la musica, senza giocare troppo con gli outfit (vero Beatrice Quinta?), senza essere troppo «paraculi» (ad esempio i Tropea) e senza neanche rinchiudersi nelle proprie riflessioni (come la quarta finalista Linda). Insomma, i Santi Francesi sono nuovi ma vecchi, nel senso che si presentano ora al grande pubblico ma hanno lo spirito ormai fuori moda di chi si concentra prima sulla musica e poi, soltanto dopo, su tutto il resto. Ce ne fossero.

Alessandro, intanto definiamo i Santi Francesi.

«Ha ragione chi ci definisce hard pop».

Traduzione.

«È pop che non è soltanto pop, nel senso che cerca di approfondire i testi e nella musica prova ad allargare i confini».

È un po' vago.

«Ascolterete il nostro Ep che esce tra pochi giorni e si intitola In fieri».

Anche voi siete «in fieri», in divenire.

«Non abbiamo una direzione musicale chiara e la nostra anima rock era molto più forte all'inizio. Adesso si percepisce in brani inediti come Spaccio, che abbiamo registrato con i Fast Animals and Slow Kids.

In finale avete cantato anche un medley di cover.

«Due di quelle, ossia Ragazzo di strada dei Corvi e Creep dei Radiohead sono anche nel nostro Ep».

Curioso che il web disprezzi la musica del passato ma poi il pubblico premi chi la suona (bene), Maneskin compresi.

«Per quanto ci riguarda, cerchiamo di fare nostri i brani della tradizione e di trasformarli in qualcosa di nuovo e divertente. E di certo non disprezziamo la musica che arriva dalle generazioni precedenti».

Avete vinto un talent.

«Ma non ci aspettiamo nulla».

Davvero?

«Sappiamo che i talent sono bolle che si sgonfiano in fretta per chiunque ci partecipi. Fa parte del gioco. Adesso tocca a noi giocarci l'x factor».

Aspettative?

«Nessuna».

Questo è il bello.

«L'importante è dare il massimo, e non è un luogo comune».

La popolarità cambia anche i rapporti umani.

«Nel nostro caso è difficile. Sia Mario che io abbiamo pochi rapporti solidi che non possono cambiare dopo un programma tv. Però, certo, capita che parenti che non sentivi da 76 anni ti mandino dei messaggi. Ci sta».

E i social?

«Sembra strano, ma riceviamo tanti messaggi di persone ultra competenti».

Parliamo dei coach. Rkomi?

«Ha i piedi saldati a terra e l'anima a mezz'aria».

Fedez?

«Abbiamo avuto poco a che fare con lui».

Dargen D'Amico

«Un genuino raffinato».

E Ambra?

«Dopo aver sentito il nostro inedito Non è così male alle Audition voleva darmi il numero dell'analista. Ho capito che ci aveva capito».

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