Un «Noir» nel segno di Cassavetes

Massimo Bertarelli

nostro inviato a Courmayeur

Ha vinto un film così e così, dell’incostante figlio d’arte Nick Cassavetes, che comunque non ha certo il talento del grande papà John. Alpha Dog è un poliziesco concitato e violento, tratto, tanto per cambiare in questo riuscito Noir in Festival, da una storia vera. Per capire subito l’antifona, basti dire che il film dura poco meno di due ore, ma se gli venissero sottratti tutti i vaf e annessi non raggiungerebbe i venti minuti. Dietro il linguaggio oltremodo colorito c’è anche poca sostanza: un piccolo spacciatore, figlio del defilato Bruce Willis, per vendicarsi di una partita di droga non pagata, sequestra con un manipolo di balordi il quindicenne fratello del debitore, figlio della defilatissima Sharon Stone.
Da qui comincia un estenuante tiramolla tra i rapitori indecisi sul da farsi: lo ammazziamo o lo liberiamo? Finché il coprotagonista, il poco simpatico cantante pop Justin Timberlake, decide per la linea dura. Non si può negare che la tensione salga di brutto nel finale, ma il tempo buttato via prima non lo risarcisce nessuno.
Detto tutto il male possibile di un contorto, incomprensibile, rumorosissimo film polacco (ah, la geopolitica), Palimpsest, che ha l’unico pregio di un’inconsueta brevità, ci vorrebbe una standing ovation per il giallo francese Oss 117 - Le Caire nid d’espions, ovvero Il Cairo nido di spie, una deliziosa parodia del cinema di spionaggio, un fuoco d’artificio di battute e trovate attorno alla missione di un imbranato collega di James Bond nell’Egitto del 1955. Gli spettatori non più giovani ricorderanno forse i piacevoli romanzi di Jean Bruce (eravamo negli anni Sessanta) da cui ha preso lo spunto, puntando decisamente sui toni umoristici, quasi assenti nei libri. La simpatia dell’atletico protagonista, Jean Dujardin, che fa il verso con impudenza, ma (chapeau) senza perdere il confronto, all’ispettore Clouseau del grande Peter Sellers e la scoppiettante sceneggiatura che non ha una smagliatura, sono i punti di forza di un film che merita una distribuzione italiana.
Non male, e questo sì che che in Italia non arriverà mai, nemmeno Children, penalizzato dal bianco e nero e da un Paese d’origine (l’Islanda) ben poco appetitoso per il nostro, e non solo il nostro, pubblico. Una storia di straordinario squallore, dal taglio esageratamente grottesco, che ha ottenuto il Gran premio della giuria, come in tutti i festival molto sensibile al richiamo delle cinematografie minori. E il regista Ragnar Bragason già minaccia il seguito: Parents. Molto più avvincente The Last King of England, in cui il vero protagonista, più che il suo medico scozzese del titolo, è il famigerato Idi Amin Dada, il sanguinario dittatore che regnò in Uganda dal ’71 al ’79, impersonato da un ottimo Forest Whitaker.


Se anche Déjà vù di Tony Scott, con Denzel Washington nel ruolo di un federale a caccia di terroristi, prenota già ora uno dei primi posti nel box office, la giuria ha scelto benissimo la migliore attrice, la graziosa, espressiva francesina Déborah François, protagonista del bellissimo La Tourneuse de pages, un film che tra l’altro dà nuove speranze ai disoccupati. O qualcuno sapeva che si viene stipendiati per voltare ai concertisti le pagine degli spartiti?

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