Lo stato di recessione tecnica certificato dall’Istat e la caduta della produzione industriale non hanno sorpreso Mario Deaglio, professore di economia internazionale dell’Università di Torino, con un passato anche da direttore del Sole 24Ore (dal 1980 al 1983). Insomma, uno capace di unire al rigore accademico la capacità divulgativa. E che spesso vede giusto. Nel 2001, infatti, Deaglio aveva dato alle stampe un saggio dal titolo eloquente, «La fine dell’euforia». Il riferimento era alla delicata congiuntura internazionale, ma un capitolo del libro era dedicato alla lunga «scivolata» italiana e, in particolare, a un rilancio considerato già allora «difficile» perché ostacolato da debolezze strutturali. Dunque, secondo Deaglio la crescita negativa del Pil nel terzo trimestre non va ora caricata di troppa negatività. «Questi dati - spiega - non sono così drammatici come potrebbe sembrare. C’è di sicuro un peggioramento della stagnazione che viviamo da una decina di anni, ma sul terzo trimestre ha pesato un fatto specifico come la crisi dell’auto».
Uno dei fenomeni più preoccupanti è il peggioramento delle nostre esportazioni, nonostante l’indebolimento dell’euro.
«È una conseguenza diretta del rallentamento globale più rapido degli ultimi 40 anni. Non ho mai visto niente di simile».
Anche gli investimenti sono in sofferenza: solo colpa della crisi?
«Non solo. Le banche non sono state di manica larga con la concessione dei crediti. La crisi di liquidità scoppiata la scorsa estate non è stata priva di conseguenze. Non dico che le banche abbiano bloccato i prestiti, ma senz’altro ne hanno ritardato l’erogazione. Se davvero gli istituti vogliono dar sostegno alle imprese, e in particolar modo alle piccole e medie, allora devono tornare a fare il loro mestiere».
Prima ha accennato alla precaria situazione dell’industria dell’auto. Gli Stati Uniti, per evitare il fallimento di GM e Chrysler, hanno deciso di intervenire. L’Europa, ancora una volta, si sta muovendo in ordine sparso. È d’accordo con la politica degli aiuti di Stato?
«In linea di principio, sono contrario al sostegno pubblico. D’altra parte, alcuni Paesi europei con industrie automobilistiche premono per fare qualcosa in modo da evitare gravi ripercussioni sull’occupazione. Altri chiedono misure su fronti diversi. È dunque lecito attendersi un nugolo di trattative dietro le quinte: rispetto a quello europeo, il nostro Parlamento è un luogo di delizie».
In Italia, a novembre, si è registrato un calo assai robusto delle nuove immatricolazioni: come andrà nei prossimi mesi?
«Non è da escludere un rimbalzo delle vendite tra febbraio e marzo. Molte famiglie hanno rimandato la sostituzione dell’auto perché spaventate dalla perdita di potere d’acquisto. Quando si convinceranno che le bollette sono meno care, che il prezzo della benzina è diminuito e che le tariffe autostradali non sono aumentate, allora potranno far visita al concessionario».
Incentivi alla rottamazione potrebbero servire a riavviare il motore delle vendite?
«In passato questo provvedimento ha funzionato. Non so se sarà ancora adottato, ma i consumatori qualcosa si aspettano».
Qual è il suo giudizio sul pacchetto anti-crisi varato dal governo?
«Sono misure ragionevoli, anche se non bastano a risolvere la crisi. Magari si poteva pensare a un taglio dell’1% dell’Irpef per gli scaglioni più bassi, ma se non è consentito uno sforamento del rapporto deficit-Pil per almeno un paio di anni, nessun intervento è risolutivo».
Cosa si aspetta dal 2009?
«Se non succedono fatti imprevisti, una contrazione del Pil tra lo 0,5 e il 2,5%. È irrealistico pensare a un dato positivo».
Siamo comunque in buona compagnia: la Germania stima una contrazione del 2%...
«Sì, ma con una differenza sostanziale: i tedeschi hanno già fatto tutte le riforme. L’Italia deve ancora cambiare tutto».
Da cosa si deve cominciare?
«Non voglio sostituirmi al governo: l’importante è cominciare».
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