«Non posso cacciare gli americani dal Giappone»

Fino a pochi mesi fa navigava su un mare di promesse. Ora rischia d’annegarci. Brutta storia in un Giappone dove un tempo si faceva harakiri per molto meno. Ma se di «harakiri» politico parliamo, allora quasi ci siamo. Il pugnale con cui il primo ministro Yukio Hatoyama sta svuotando d’ogni credibilità il ventre della propria immagine politica è l’ammissione di non esser in grado di far sloggiare da Okinawa la gigantesca base di Futanma, sede del 50% delle truppe americane in Giappone.
Quell’impegno era il «leit motiv» della sua campagna elettorale, il simbolo della sua immagine di «uomo nuovo» pronto - nel nome dell’interesse nazionale - allo scontro con Washington. Ieri invece Yukio l’ha ammesso. Quella promessa era solo demagogia, aria fritta, populismo allo stato puro. La base seguirà il destino deciso nel 2006 quando Tokyo e Washington firmarono l’accordo per il trasferimento dal perimetro urbano di Ginowan a Capo Henoko nel Nord dell’isola. L’annuncio della resa di Hatoyama arriva direttamente da Okinawa dove il premier ha incontrato ieri il governatore Hirokazu Nakaima.
Dopo un colloquio tempestoso durante il quale il governatore rinfaccia al primo ministro di aver illuso i cittadini di Okinawa e annuncia l’opposizione totale dell’isola all’accordo del 2006, Hatoyama rende ufficiale la «dolorosa» scelta. «Dobbiamo chiedere agli abitanti di accettare il trasferimento della base militare nella zona vicina a Nago... Offro le mie più sentite scuse - dichiara Hatoyama - per aver ingenerato confusione e non essere riuscito a mantenere la promessa». Dopo quell’infamante dietrofront il premier è un morto che cammina. Il suo indice di popolarità è precipitato sotto la soglia del 25% e - secondo molte previsioni - la sua carriera non sopravvivrà alle elezioni del prossimo 11 luglio per la Camera Alta.
Per capire come Yukio abbia vergato la propria condanna a morte, bisogna ritornare alla campagna della scorsa estate. Grazie a quella maratona elettorale e ai miliardi di mammina Yasuko - unica erede dell’impero Bridgestone -, Hatoyama conquista a settembre un successo senza precedenti, trascina il Partito democratico alla vittoria e mette fine all’egemonia cinquantennale del Partito liberale.
Come ogni strada per l’inferno anche la sua è lastricata di promesse mai mantenute. Prima fra tutte quella di chiudere Futenma, la gigantesca base fonte di crescente ostilità anti-americana da quando nel 1995 tre marine vennero accusati di aver rapito e violentato una 12enne di Okinawa. Quell’infamante episodio porta nel 2006 alla firma per il trasferimento dei soldati in un nuovo perimetro lungo la costa settentrionale. In campagna elettorale persino quell’accordo sembra assolutamente inadeguato perché i soldati americani, fa intendere il candidato Hatoyama, dovrebbero sloggiare non solo da Okinawa, ma dall’intero Paese. Una volta eletto, il candido Yukio fa i conti, però, con la realtà di un mondo assai diverso dalle sue utopie elettorali. In quel mondo i problemi reali e immediati non sono i marine di Okinawa, bensì la crescente ostilità della Corea del Nord e le strategie di una Cina tradizionalmente ostile al Giappone. Così il premier - costretto già all’inizio del mandato a far ammenda per i mancati tagli alla spesa pubblica e per le false dichiarazioni sui finanziamenti per oltre 3 milioni di euro versatigli da mamma Yasuko - si ritrova nei pasticci. Indebolito sul fronte interno e abbandonato dall’opinione pubblica, si ritrova assolutamente incapace di contrapporsi agli Stati Uniti. La sua unica rettifica alla tradizionale politica di alleanza con gli Stati Uniti è il ritiro, dopo otto anni, dalla missione di aviorifornimento in Afghanistan.

Anche quella mossa si rivela un bluff quando si scopre che il prode Hatoyama l’ha ripagata destinando 5 miliardi di dollari dei contribuenti giapponesi alla ricostruzione dell’Afghanistan. Lo scivolone di ieri a Okinawa rischia così di rivelarsi fatale e trasformare il voto dell’11 luglio nel suo funerale.

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