«Dopo il V secolo ateniese, il Settecento è stato il secondo grande momento del pensiero politico». Ad affermarlo è Zeev Sternhell, professore emerito di scienze politiche allUniversità ebraica di Gerusalemme, noto in tutto il mondo per il suo libro Né destra né sinistra. Lideologia fascista in Francia, uscito nel 1983. In questa ricerca Sternhell ha indagato gli ingredienti culturali dellestrema destra francese a partire dalla fine dellOttocento, trovando sorprendenti affinità con la germinazione del fascismo italiano. Naturalmente il libro è stato molto apprezzato da noi, perché letto come la dimostrazione che il fascismo ha avuto una prima manifestazione culturale altrove, rispetto al contesto in cui si è fatto regime. Nellaltra sua opera famosa, Nascita dellideologia fascista (1989), Sternhell ha ribadito il referente intellettuale della sua analisi, e cioè il fatto di considerare il fascismo il frutto maturo di una rivolta nei confronti dei valori e della cultura politica illuminista, che a suo avviso è lunica coerente opzione individualistica e razionalistica e quindi, in ultima analisi, liberale.
In realtà questo assunto è controverso, ed è una della ragioni per cui Sternhell ha da poco consegnato alle stampe un ponderoso volume intitolato Contro lIlluminismo. Dal XVIII secolo alla guerra fredda, tradotto in italiano da Baldini Castoldi Dalai (pagg. 655, euro 20).
Professor Sternhell, qual è il fulcro del pensiero politico illuminista?
«Il pensiero politico dellIlluminismo ha le radici nellidea dellautonomia dellindividuo e nel primato del singolo. Lindividuo è considerato un essere razionale, in grado di operare delle scelte e di essere padrone di se stesso. Queste sono le basi dellautogoverno e, in ultima istanza, della democrazia. Lindividualismo si è sviluppato in Occidente a partire dalla fine del medioevo, quando ha preso forma concreta lidea che la società è niente più che un aggregato di individui e che il loro bene deve essere il fine dellorganizzazione sociale e dellattività politica».
Qual è il ruolo del diritto naturale nel razionalismo politico?
«Il concetto di diritto naturale sta a significare che tutti gli uomini, in ogni tempo e luogo, sono governati dalle medesime norme. E ciò perché sono esseri razionali: la ragione è quanto tutti hanno in comune».
Nel suo libro lei scrive che ci sono due tipi di modernità: ci può spiegare questo punto?
«Se lIlluminismo francese (o piuttosto franco-kantiano) e lIlluminismo scozzese hanno prodotto la rivoluzione intellettuale del razionalismo moderno, il movimento intellettuale, culturale e politico associato alla rivolta contro lIlluminismo non costituisce una contro-rivoluzione ma unaltra, differente rivoluzione, che in realtà non è contro la modernità, ma ne chiama una di diverso segno. Il suo potere dattrazione risiede nel fatto che fa appello a tutto ciò che divide gli uomini - storia, cultura, linguaggio - contro quanto li unisce, e cioè il loro status di individui razionali dotati di diritti naturali. In altri termini, la nuova cultura politica anti-illuminista si basava sulla supremazia della collettività, sullidea della totale dipendenza del singolo dalla cultura, dalla storia e dalletnia che gli sono propri. Da Herder a Spengler si ritrova la convinzione che tutta la vita culturale, e persino il pensiero, siano condizionati dallambiente e dal gruppo etnico».
Popper ha scritto il libro Miseria dello storicismo. Qual è il legame fra Storicismo e rivolta anti-illuminista?
«Uso il termine storicismo nel senso della parola tedesca Historismus, così come la usa Meinecke nel suo libro del 1936 Le origini dello storicismo. Nello storicismo cè unostilità di fondo nei confronti del diritto naturale, dellintellettualismo e del razionalismo. Il risultato di questa sensibilità è che lo storicismo demolisce lidea di una comune natura umana, di una ragione universale che dà luogo a un diritto naturale di carattere universale, e considera questi concetti come qualcosa di empio, astratto e, soprattutto, ipocritico».
Secondo lei il relativismo è pericoloso: in che senso?
«La questione essenziale è questa: esiste una verità universale? Ci sono delle norme universali? Oppure sono considerate vere una pluralità di verità di origine nazionale o culturale? Tutti i valori e i costumi debbono essere rispettati nella stessa misura? In caso contrario, quali sono i criteri di scelta? Io credo a una gerarchia universale di valori».
Lei è un ebreo askenazita nato in Polonia ed emigrato in Israele nel 1951. Anche per questo guarda, non senza accenti critici, alla «scuola totalitaria», di cui Hannah Arendt è la maggiore esponente. Cosa non condivide del suo pensiero?
«Nel libro parlo di lei in merito alla sua interpretazione delle ragioni che resero possibile lOlocausto.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.