Il nostro antidoto all'umorismo della caricatura e della militanza

Nulla è più triste dei comici attuali che fanno ridere a cottimo o a comando. Vi (ri)presentiamo quattro campioni dell'ironia lucida, disinteressata e creativa

Il nostro antidoto all'umorismo della caricatura e della militanza

In tema di umorismo, c'è soltanto una cosa più triste dell'umorismo involontario del comico che fa ridere perché si sforza di far ridere, ed è il comico che fa ridere a cottimo e a comando, la satira dei regimi e dei regimetti, lo sberleffo lanciato da dietro un angolo, al riparo gentilmente offerto da un grosso editore o da un potente network. Ecco, chi ride di questi comici, molto più tristi (per davvero) del tristissimo (per finta) Buster Keaton può dire di saper ridere. Perché ridere, signori miei, è una cosa seria. La risata doc, millesimata, da gustare fino all'ebrezza ma senza mai ubriacarsi, non è sguaiata, non è scomposta, non si vende un tanto al chilo. Il più delle volte è un'esperienza solitaria, un convinto sorriso a 32 denti, compresi quelli del giudizio e della critica della ragion pura, direbbe quel musone di Immanuel Kant. Ridere di chi vuol far ridere mettendo le bucce di banana sotto i piedi degli altri è un sublime piacere. E, ovviamente, è anche una pratica non comune. Nelle prossime pagine, quattro di noi , inclini per l'appunto allo stirato sorriso sarcastico e non alla grassa risata da avanspettacolo (lo dico per esperienza personale) vi parleranno di quattro di loro , cioè di quattro maestri del vero umorismo. Di gente che ha scritto senza secondi o terzi fini, usando il sottile bulino dell'ironia e non la rude accetta della presa per i fondelli.

E se poi vi accorgerete di aver riso (anzi, sorriso) per qualcosa che in fondo, tutto sommato, è tutt'altro che comica, non perdete il sorriso. «Le rughe dovrebbero semplicemente indicare il posto dove erano i sorrisi», disse Mark Twain, uno che aveva elevato l'umorismo al rango di professione. Ridendo a crepapelle di se stesso.

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