Non è facile immaginare che piega prenderà il concerto, da dove partirà e tanto meno dove arriverà. Quel che è certo è che sul palcoscenico, solo per due date italiane, ci sarà Bill Frisell. Guitar hero del jazz dagli Anni Ottanta a oggi, avanguardista (indimenticabili le sue esplorazioni con John Zorn e Tim Berne), con alle spalle collaborazioni con artisti rock del calibro di Ginger Baker, Marianne Faithfull ed Elvis Costello e con il mondo del cinema (memorabili le sue sonorizzazioni dei film di Buster Keaton), ha poi imboccato una strada decisamente personale, esplorando le radici della musica americana (country, bluegrass) con i mezzi espressivi dell'improvvisazione jazzistica. Da segnare in agenda l'appuntamento al Padova Jazz Festival del 18 novembre alle ore 21 al Teatro Verdi (padovajazz.com) e al Bologna Jazz Festival del 21 novembre alle 21,15 al Teatro Duse (bolognajazzfestival.com). Al suo fianco, in entrambi i casi, ci saranno due collaboratori di lunga data come Thomas Morgan (alla chitarra) e Rudy Royston (alla batteria).
Mister Frisell, sta per arrivare in Italia. Nessuna idea del repertorio che proporrà?
«No, non so mai cosa suonerò. È molto difficile stabilirlo, soprattutto con questo trio, perché possiamo suonare talmente tante cose assieme, con differenti combinazioni e a lungo, che risulta impossibile pianificare: semplicemente noi arriviamo, suoniamo una canzone, a cui ne segue spontaneamente un'altra, e si spera che la storia prenda forma. Suonare con Rudy Royston e Thomas Morgan per me significa essere totalmente liberi».
Com'è cambiata la sua musica nel corso del tempo?
«Se da un lato penso che sia sempre in evoluzione, dall'altro mi sembra che sia sempre la stessa. Ogni giorno mi alzo e ricomincio passo dopo passo. Anche una sola nota, suonata una volta e poi suonata una seconda, non è mai uguale: è impressionante come ogni brano possa trovare strade e percorsi diversi. È semplicemente senza fine».
Qual è stato il primo strumento che ha suonato?
«Ricordo che sono sempre stato affascinato dalla chitarra. Eppure, quando avevo 9 o 10 anni, a scuola ho iniziato a suonare il clarinetto: mi riusciva bene e ho continuato per tutto il college. Solo un paio d'anni dopo, ho iniziato con la chitarra. Inizialmente andavo da un amico che abitava dall'altra parte della strada e a 14 anni ho ottenuto la mia prima chitarra elettrica: da lì ho iniziato a suonare con amici in vari gruppi, cioè esattamente quello che continuo a fare anche adesso».
Fantastico: è come essere ancora un 14enne...
«Sì, esatto, è proprio come mi sento. Cerco di restare giovane e di mantenere lo stesso entusiasmo: la musica aiuta in questo, perché consente di scoprire qualcosa di nuovo ogni volta».
Si è ispirato a qualche artista in particolare?
«È impossibile per me nominarne soltanto uno. Negli Anni Sessanta, il mondo musicale era popolato dai Beach Boys, dai Beatles, c'era Jimy Hendrix, che ho avuto la fortuna di sentir suonare dal vivo, e tantissimi altri. Al liceo sono andato a sentire il quartetto di Charles Lloyd con Paul Motian, Keith Jarrett e Ron McClure: ancora non sapevo che qualche anno dopo avrei avuto la fortuna di suonare con alcuni di loro».
C'è una canzone in particolare che le piace suonare?
«Domanda altrettanto difficile, perché ogni canzone in qualche maniera mi fa pensare a un'altra canzone. Ieri sera, ad esempio, ero da solo e stavo suonando When I Fall in Love: l'ho sentita un sacco di volte, interpretata da artisti diversi, come Nat King Cole o Tony Bennett, di cui poi mi è venuta in mente anche Who Can I Turn To e così ho cominciato a suonare quella canzone. Una cosa porta a un'altra, tutto è connesso».
Torniamo ai prossimi concerti. Ci sono altri posti, in Italia, in cui vorrebbe suonare?
«Mi piacerebbe
poter ricordare tutti i nomi (sorride, ndr). Mi piace suonare nei piccoli club, dove le persone sono una attaccata all'altra, ma anche nei teatri e, più in generale, nei luoghi in cui si può dire wow, qui ha suonato Mozart».
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