Euro per tutti? No grazie. Le lezioni di Hayek contro la moneta unica

Il grande economista liberale morì prima della creazione della nuova valuta. Ma come dimostrano i suoi scritti l'avrebbe certamente avversata

Euro per tutti? No grazie. Le lezioni di Hayek contro la moneta unica

Friedrich A. von Hayek è morto nel 1992: otto anni prima del varo dell'euro. Per questo non abbiamo alcuna sua riflessione sul modo in cui il progetto della moneta unica è stato realizzato e poi amministrato. Nonostante ciò è noto come negli anni Settanta questo economista liberale abbia auspicato «l'unificazione economica dell'Europa occidentale» e al tempo stesso abbia però espresso «seri dubbi sull'utilità di farlo mediante la creazione di una nuova moneta europea gestita da una sorta di autorità sovranazionale».

Le premesse teoriche di tutto ciò si trovano in cinque lezioni, Nazionalismo monetario e stabilità internazionale (edite da Rubbettino), che egli tenne a Ginevra nel 1937 e che ora sono state pubblicate con presentazione di Lorenzo Infantino e prefazione di José Antonio de Aguirre: pagine ancora oggi in grado di stimolare una riflessione controcorrente su questo tema controverso.

Influenzato da Carl Menger, Hayek ritiene che la moneta è al servizio del mercato se anch'essa è prodotta dagli scambi. Per giunta, un mercato è tale se è aperto ed esteso. Negli anni Trenta Hayek pensa ancora che «un'effettiva politica monetaria razionale possa essere attuata solo da un'autorità monetaria internazionale o tramite, in ogni caso, la più stretta collaborazione delle autorità nazionali» ma il senso profondo della sua analisi già va in tutt'altra direzione. E nei decenni successivi egli infatti proporrà di mettere in concorrenza le valute, suggerendo una soluzione diametralmente opposta a quella della moneta unica.

Invitato in Svizzera per tenere un ciclo di lezioni all'Istituto universitario di alti studi internazionali, Hayek condanna il nazionalismo economico e le sue riflessioni vanno lette quale risposta alla tesi - interpretata da John Maynard Keynes - che sia opportuno ridurre al minimo l'interdipendenza tra le economie e che per conseguire tale risultato si debba garantire alle banche centrali la possibilità di manipolare la moneta di Stato. Mentre un sistema basato sulla pace era stato tradizionalmente associato all'idea di mercati integrati, Keynes s'illude che il nazionalismo non comporti esiti conflittuali.

Hayek resta invece fedele alla lezione liberale, che vede nell'autarchia e nel dirigismo la strada più breve verso la guerra. Quando nella prefazione al volume Infantino si chiede «come Hayek avrebbe giudicato l'odierna moneta unica europea», risponde in tal modo: «Non c'è alcun mistero. Egli non avrebbe chiesto la creazione di una nuova valuta». In effetti Hayek non solo contrasta lo sciovinismo keynesiano, ma nelle lezioni tenute all'istituto di Paul Mantoux e William E. Rappart (legato alla Società delle Nazioni) offre una riflessione teorica che apre a una critica egualmente serrata degli interventismi sovranazionali e conduce alla competizione monetaria.

In tale ordine competitivo, detto «free banking», una gestione oculata delle valute non sarebbe affidata a un monopolio chiamato al rispetto di regole predefinite, di ordine costituzionale, ma deriverebbe dalla necessità per ogni moneta di essere apprezzata e godere del credito altrui. La questione monetaria finisce quindi per rinviare al tema degli ordini spontanei e autoregolati: in economia come nel diritto. E mentre negli anni Trenta Hayek condivideva le tesi di Lionel Robbins, persuaso che l'esistenza di un mercato globale implicasse un governo mondiale, in seguito Hayek evita questa trappola esattamente come quella dello statalismo nazionale.

La posizione di Hayek è differente pure da quella di un altro economista liberale, Milton Friedman, che difese banca centrale e corso legale chiedendo però che l'espansione della quantità di valuta fosse in connessione con la crescita. Se gli Stati Uniti crescono del 2% ogni anno, anche la quantità dei dollari in circolazione può aumentare solo in quella misura. Se Friedman non mette in discussione il sistema monetario vigente, ma si limita a chiedere che esso segua regole più rigorose (atte a evitare la tassazione occulta dell'inflazione), Hayek propone invece che gli attori economici possano scegliere tra monete di mercato. Ogni Paese dovrebbe consentire la piena circolazione delle valute straniere e anche permettere ai privati di crearne altre.

Leggere in Hayek un nemico dell'euro non è quindi un'operazione anacronistica e neppure una forzatura. Ma la sua prospettiva ha poco a che fare con il populismo demagogico di chi vorrebbe tornare alla lira solo per evitare ogni rigore, rinchiuderci entro i confini italiani e portarci entro una spirale inflazionistica perfino più drammatica di quella che l'Europa intera (a causa delle politiche espansive della Bce) sta per conoscere.

La prospettiva hayekiana contrasta la moneta unica in nome del mercato e non dello statalismo. Non a caso negli scorsi anni - proprio utilizzando Hayek e altri studiosi della stessa scuola - Jesús Huerta de Soto ha offerto una (moderata) difesa dell'euro basata sul fatto che questa valuta ha avuto quanto meno il vantaggio di sottrarre ai governi dei singoli Stati la possibilità di gestire le crisi usando la leva monetaria.

Ma ora che Mario Draghi non trova più ostacoli di fronte alla sua volontà di aumentare a dismisura la quantità di euro in circolazione, è chiaro come la libertà monetaria suggerita da Hayek sia una delle poche alternative realistiche alla demagogia dei nazionalisti e alla tecnocrazia dei burocrati di Bruxelles.

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