"Il nuotatore di Auschwitz. Un grande inno alla vita"

Al Lirico l'attore Raoul Bova interpreta la storia vera di Nakache. "Insegna che si può sopravvivere anche al peggio"

"Il nuotatore di Auschwitz. Un grande inno alla vita"
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Raoul Bova torna ad essere «Il nuotatore di Auschwitz», nel debutto milanese dello spettacolo ispirato alla vera storia del nuotatore Alfred Nakache e dello psicoanalista Viktor Frankl, autore del libro «Uno psicologo nei lager». Tre serate al Teatro Lirico, da oggi fino a domenica, per lo spettacolo scritto e diretto da Luca De Bei, con protagonista Raoul Bova, che tra l'altro in passato è anche stato nuotatore agonista.

Come richiesto dalla vicenda, drammatica seppure luminosa, la scenografia è essenziale: scorrono in bianco e nero le immagini filmate da Marco Renda, e le linee di luci disegnate da Marco Laudando evocano corsie di una piscina, rotaie di vagoni e raggi di spiritualità.

Da che cosa nasce l'attenzione alla storia del nuotatore Alfred Nakache?

«La storia nasce dalla curiosità di trovare storie eccezionali, grandiose, di umanità e di sopravvivenza. Attraverso di lui, racconta il grande istinto di sopravvivenza, di amore per la vita, che l'acqua ha nutrito. Non a caso il protagonista è un nuotatore algerino naturalizzato francese, rinchiuso ad Auschwitz, diventato un campione mondiale di nuoto, al quale questo istinto di sopravvivenza è rimasto».

Come si spiega quella che oggi chiameremmo una straordinaria resilienza?

«Da piccolo stava annegando. I tedeschi gli gettavano monetine nel bacino idrico ghiacciato e gli dicevano: valle a riprendere altrimenti uccidiamo te o altri tuoi compagni di baracca. Lui riesce a sopravvivere a queste sopraffazioni anche rievocando il sé che stava annegando, ma non solo per l'istinto, anche per l'amore che provava per sua moglie e sua figlia e che viene raccontato dal suo alter ego Frankl».

Frankl è lo psicoanalista che ha condiviso la medesima esperienza del lager e che ne ha tratto un messaggio di vita per ogni paziente, non solo per le vittime di Auschwitz.

«Frankl racconta come quell'attaccamento, quella voglia di rivedere i propri affetti più cari, il pensiero proattivo, sia stato fondamentale per riuscire a salvarsi, anche se molti che sono tornati hanno trovato una situazione totalmente diversa da quella che attendevano, come racconta Primo Levi. Frankl mette su carta ciò che Nakache ha vissuto inconsapevolmente».

Come racconta questo spettacolo? In che cosa è diverso da storie che sembrerebbero simili?

«È un inno alla vita, alla certezza di poter superare i momenti difficili. Si parte dalla violenza per raccontare come, se ci sono state persone che sono sopravvissute a questo scempio, possiamo farlo anche noi, che non dobbiamo considerare i problemi delle persone senza uscita. Ognuno può trovarsi in situazioni da cui non riesce a uscire. Questa vicenda parla a tutti».

Lei, Raoul Bova, ha vissuto momenti particolarmente difficili?

«Diverse volte mi sono trovato in momenti difficili, come la perdita dei genitori: a distanza di un anno ho perso madre e padre e può sembrare che la vita finisca lì. Poi ci sono altre cose che fanno capire che vale la pena vivere la vita e che ci sono altre persone, in questo caso i miei figli e le persone che mi vogliono bene. Spesso ci sentiamo soli ma non lo siamo. Anche solo il pensiero di non esserlo ci può aiutare. Bisogna solo avere l'umiltà di chiedere aiuto».

Lei è stato un nuotatore a livello agonistico. Quest'esperienza l'ha aiutata a entrare nel personaggio di Nakache?

«Il nuoto mi ha richiamato il rapporto con l'acqua. Come lui, come Nakache, ho vissuto la sensazione di stare per annegare e la medesima esperienza che ho ritrovato nel testo: quei momenti in cui hai l'istinto di tornare su in alto, nuotare e respirare, me lo sono portato tutta la vita».

Crede che i suoi dolori, i nostri dolori, possano apprendere qualcosa anche da esperienze straordinariamente orribili come Auschwitz?

«Nella nostra vita il dolore è relativo, certamente in confronto ai prigionieri di Auschwitz le nostre difficoltà possono sembrare nulla. Sono in un momento molto positivo della mia vita perché sto facendo cose che mi piacciono, come la serie Buongiorno mamma, vivo rapporti strepitosi con i miei e sono contento a livello personale, ma nonostante questo non dimentico di essere in un periodo storico particolarmente complicato».

Come definirebbe il periodo storico che stiamo vivendo?

«Come tutti ho vissuto il Covid, una situazione di paura e di morte, non dimentico che ha avuto un effetto sulle nostre menti. Poi sono partite le guerre.

Ho sofferto la contraddizione dell'essere umano per cui un'epidemia avrebbe dovuto portare fratellanza e invece ha portato guerra. Ti chiedi che cos'è l'uomo, che cos'è la vita, ed è bene che cerchi risposte anche nelle esperienze degli altri».

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