La nuova «Medusa»? È pronta per Natale

Laura Gigliotti

Mentre nel Palazzo Nuovo è in corso da febbraio, sponsor la Lottomatica, il restauro di sedici statue della Collezione Albani, più alcuni basamenti moderni, due altari antichi utilizzati come base di sculture, le statue in marmo scuro di Esculapio e di Zeus nonché due centauri, nel Palazzo dei Conservatori al piano nobile, accanto alla Sala degli Orazi e Curiazi si sta lavorando al soffitto ottocentesco della cosiddetta Sala Vanvitelli e nella Sala di Annibale, è appena iniziato il restauro (durata presunta quattro mesi), del Busto di Medusa, una delle opere più problematiche di Gian Lorenzo Bernini (15698-1680).
A finanziarlo è la Federazione Italiana Tabaccai, già sponsor del restauro dell’Apollo e dell’Eracle di Veio (ancora in corso), due capolavori del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. In programma, subito dopo la Medusa, l’intervento su un’altra opera di Bernini, il monumento in marmo di Urbano VIII della Sala degli Orazi e Curiazi.
L’artista si rifà al mito di Medusa, narrato nelle Metamorfosi da Ovidio, che la descrive come la più bella e mortale delle Gorgoni con il potere di pietrificare chiunque incrociasse il suo sguardo. Minerva la punisce per essere stata violentata da Nettuno in un tempio a lei consacrato cambiando i suoi capelli biondi in serpenti. Secondo il racconto Medusa viene sorpresa nel sonno da Perseo che guardando la sua immagine riflessa riesce a tagliarle la testa, di cui fa dono a Minerva, che la pone ad ornamento del suo scudo.
Bernini, scartando la raffigurazione della testa mozzata di Medusa come fa Caravaggio nello scudo da parata dipinto per il cardinale Del Monte, poi donato al Granduca Ferdinando de’ Medici, o come fa Annibale Carracci negli affreschi della Galleria di Palazzo Farnese, scolpisce un vero e proprio busto-ritratto di Medusa colta nel momento della metamorfosi. Come se si vedesse in uno specchio e improvvisamente si rendesse conto di quello che le sta accadendo. La bocca semiaperta in cui s’intravvedono i denti e la lingua, gli occhi che esprimono tutta la sua disperazione, gli splendidi capelli biondi che stanno trasformandosi in serpenti.
Bernini, ingegno precocissimo (a 20 anni viene nominato dal papa Cavaliere di Cristo per i suoi meriti artistici), realizza la Medusa in età matura, nei primi anni del pontificato di Innocenzo X Pamphili quando l’artista, prediletto di papa Barberini, viene temporaneamente allontanato dalla corte pontificia a seguito della demolizione del Campanile della Basilica di San Pietro (1646). Un’opera che rientra fra quelle sculture che Bernini esegue «per suo studio e gusto», come sarà «La Verità» rimasta nel suo studio e legata per testamento alla famiglia. E forse anche metafora, personale meditazione dell’artista sulle finalità della scultura e sulle virtù dello scultore. Una Medusa che lascia letteralmente impietriti dallo stupore i suoi nemici e detrattori di fronte alla virtù del suo scalpello.
Il gabinetto di restauro è posto a poca distanza dalla Sala delle Oche, una delle piccole preziose stanze dell’Appartamento dei Conservatori, in cui dal Settecento l’opera è conservata e dove è rimasto il basamento in marmi policromi, giallo antico, verde antico, rosso di Caria, verde Alpi. Reca sui fianchi lo stemma del Senato e Popolo Romano e della famiglia Bichi e sul fronte l’iscrizione che ricorda il «dono del marchese Francesco Bichi, Conservatore nel mese di marzo dell’anno del Signore 1731».
«Siamo appena agli inizi - dice Tuccio Sante Guido, non nuovo a queste imprese, insieme a Giuseppe Mantella, incaricato del restauro diretto da Elena Di Gioia -. Ora per la prima volta verranno effettuate indagini ai raggi infrarossi e ultravioletti, come si fa per i dipinti, per vedere se c’è qualcosa sotto lo strato di cera e sporco.

Il colore giallastro potrebbe essere dovuto a un’alterazione dei protettivi».
Musei Capitolini, piazza del Campidoglio. Orario: da martedì a domenica 9-20, lunedì chiuso. Informazioni: 06-82059127 e www.museicapitolini.org.

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