Paura e progresso: le domande da porsi sul futuro dell'Ia

Nel prossimo futuro, non basterà regolamentare il fenomeno dell'intelligence artificiale. Sarà necessaria anche una preparazione fondamentale per saper porre al computer le domande giuste

Paura e progresso: le domande da porsi sul futuro dell'Ia

«Anche da giovane non riuscivo a condividere l’opinione che, se la conoscenza è pericolosa, la soluzione ideale risiede nell’ignoranza. Mi è sempre parso, invece, che la risposta autentica a questo problema stia nella saggezza. Non è saggio rifiutarsi di affrontare il pericolo, anche se bisogna farlo con la dovuta cautela. Dopotutto, è questo il senso della sfida posta all’uomo fin da quando un gruppo di primati si evolse nella nostra specie. Qualsiasi innovazione tecnologica può essere pericolosa: il fuoco lo è stato fin dal principio, e il linguaggio ancor di più; si può dire che entrambi siano ancora pericolosi al giorno d’oggi, ma nessun uomo potrebbe dirsi tale senza il fuoco e senza la parola».

Se andate a cercare su Google, potrete abbinare la frase che avere letto qui sopra al grande scrittore e biochimico Isaac Asimov, senza avere la certezza che l’abbia detta davvero. La prendiamo così com’è, dandole assolutezza. Ma davvero possiamo esserne certi? (spoiler: l’ha detta davvero)

Il problema riguarda l’intelligenza artificiale e il suo futuro, se davvero non possiamo garantire a noi stessi di avere le risposte giuste alle nostre domande. E se poi, di più, non sappiamo fare le domande giuste. La macchina potrà prendere un giorno il sopravvento? E’ la paura che non riesce a fermare il progresso, ma non basta mettere delle regole astratte (le tre leggi della robotica proprio di Asimov, per dire) per avere un limite certo a ciò che un algoritmo potrà fare. Bisogna pesare le parole e mettere quelli che Carlo Noseda, Presidente di IAB Italia, chiama prompt, le richieste con cui ci rivolgiamo ai computer: «Viviamo in un periodo strano, in cui le persone si affidano totalmente alla tecnologia, ma in cui si sente di aver bisogno di modelli reali: per esempio sono riapparsi i poster di sportivi come Sinner alle pareti delle camerette dei ragazzi, come non succedeva da tempo. Per questo la necessità è di uscire dal virtuale per costruire un futuro che la nostra generazione non userà, e che probabilmente non ha nemmeno idea di come possa diventare». E per questo la (prima) parola d’ordine è gestire la rivoluzione, «che non è uguale a quella industriale, che ha cambiato il modo in cui ci siamo approcciati alla vita. Quella tecnologica ci sta modificando dentro».

Formazione, ecco la seconda parola, forse la più importante. E ritorno alle basi, alla filosofia, alla storia, per saper fare le domande corrette e non lasciare le risposte a chi può trovarle in un millisecondo dando solo il tempo di confonderti. L’Interactive Advertising Bureau, IAB appunto, fa questo: un’associazione che mette insieme persone e aziende della pubblicità per capire come comunicare al mondo il suo cambiamento digitale. In uno dei prossimi appuntamenti, quello di ottobre a Milano che si chiamerà «Intersections», sarà ospite Greg Hoffman, il creativo che portò in Nike la discriminazione come oggetto di marketing (ricordate il caso del giocatore di football americano Kaepernick che si inginocchiò per protesta al momento dell’inno nazionale?), lui nero americano adottato da una famiglia bianca: «E’ un chiaro esempio – racconta Noseda, che è anche CEO dell’agenza M&C SAATCHI Europe – di quello che cerchiamo di spiegare: abbiamo le domande giuste da fare all’intelligenza artificiale per evitare che un domani un computer diventi incapace di discriminare qualcuno?».

Il Grande Fratello è un rischio reale, e Ray Kurzweil – l’ingegnere di Google che vent’anni fa scrisse La singolarità è vicina, vaticinando per il 2050 l’anno in cui gli uomini integreranno dei chip per diventare una specie diversa – ora si è corretto in un testo recentemente pubblicato e intitolato La singolarita è più vicina. Ovvero nel 2045. Fantascienza? «Il problema è capire che intelligenza artificiale è una definizione semplice, studiata dal marketing e utilizzata per far capire a tutti di cosa si tratta. Ma in realtà è qualcosa di cui nessuno di noi ha una vera comprensione, è un meccanismo molto più profondo, una parte di una struttura di cui l’AI generativa è solo la copertina». Per intenderci, non è quella – rassicurante – di cui si dice siano pieni i nostri smartphone: «Probabilmente segnerà la fine della democrazia, se saranno dei calcoli matematici a decidere per noi. Oppure anche dell’umanità, se un giorno la macchina decidesse che rappresentiamo un virus letale per l’esistenza del nostro pianeta. E forse, in effetti, lo siamo».

Come fare, allora? Sì, le regole vanno bene, «ma l’Europa continua a mettere confini perché è lenta, mentre Usa e Cina e vanno velocissimi senza freni: loro sono ormai inarrivabili, e il prossimo passaggio è che l’intelligenza artificiale nella comunicazione diventi uno strumento per l’opinione di massa». E quindi: quando affronteremo i veri problemi che l’AI ci sta proponendo? E’ appunto una questione di domande: «Ci si sta occupando troppo di etica, ma ci mancano ancora le basi di questa tecnologia. Leggere oggi è considerata una parola antica, eppure mio padre mi diceva: cosa ve ne fate di Google se non sapete cosa cercare? Ecco, con l’AI non è più neppure un problema di cercare sui motori di internet, è sapere che rischiamo di fare le domande sbagliate con il risultato di avere risposte manipolate. Qualcuno, per esempio, si chiede quanto ci costerà in energia questa rivoluzione? Un’ora di training dell’intelligenza artificiale consuma 100 kilowatt, tutto quello che serve per far fare 100 km a un’auto elettrica caricandola tutta la notte. Non abbiamo tutte queste risorse per una tecnologia che alla fine verrà utilizzata solo da una parte dei miliardi di persone della Terra, e si creerà un divario ancor più grande di quello attuale. Lo scenario è terribile».

Oggi, afferma in pratica Noseda, noi siamo gli architetti di queste infrastrutture e l’urgenza è prepararci a saperlo fare bene, perché senza conoscenza nei confronti di una macchina partiamo già sconfitti. Dobbiamo sapere che prompt inserire, «e per questo tornare a studiare ciò che si ritiene non sia più moderno, che sia inutile. Invece leggere storia, filosofia e, perché no, religione: probabilmente arriverà una società tecnoumana dove si scopriranno nuove credenze.

E invece i ragazzi non sanno che non c’è più niente di più tecnologico del cattolicesimo, che non pone limiti di entrata e che invita alla confessione e all’ascolto, che è un po’ il meccanismo di Google. E poi c’è il perdono, che è il “ctr-alt-canc” per ricominciare da zero. E c’è perfino il cloud…». Il paradiso insomma, dove tutte le domande trovano le risposte. Se ovviamente hai saputo farle.

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