La ricerca sull’intelligenza artificiale: cosa c’è davvero dietro l’hype

Una ricerca mostra come il grande entusiasmo dei manager verso l'Ia sia solo di facciata, dato che poco più di un quarto dei dipendenti la usa quotidianamente. Per vincere la sfida servirà formazione e strategia

La ricerca sull’intelligenza artificiale: cosa c’è davvero dietro l’hype
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Uno dei problemi del mondo della tecnologia è che spesso e volentieri l’entusiasmo per le nuove tecnologie assume caratteristiche quasi messianiche. Senza ben sapere esattamente di cosa si sta parlando, tutti salgono a bordo del carro della nuova tecnologia di moda, glorificandone i vantaggi e mettendo pressione agli “infedeli”. Il problema della cosiddetta hype è che, a volte, queste tecnologie finiscono per essere capite poco e male. L’intelligenza artificiale, secondo uno studio recentemente pubblicato, rischia di fare proprio questa fine. Almeno in ambito aziendale, tutti professano fiducia nell’Ia ma sono davvero pochi ad usarla, senza comprenderne vantaggi e potenzialità per il futuro.

Un vero e proprio paradosso

La ricerca condotta da Jabra, ditta danese specializzata in soluzioni audio e video professionali, mostra un quadro piuttosto sconcertante in quanto alla comprensione e all’applicazione pratica delle tecnologie legate al machine learning. Lo studio, condotto nei mesi scorsi, ha coinvolto 1.800 manager e 4.200 dipendenti in 14 paesi, cui è stato chiesto di rispondere a domande sul futuro dell’Ia in ambito lavorativo. I risultati di questa ricerca piuttosto approfondita offrono alcuni spunti davvero interessanti e parecchie sorprese. Messi di fronte ad una domanda secca, quasi tutti gli intervistati dichiarano un “grande interesse” e di riporre una fiducia quasi illimitata nelle promesse dell’intelligenza artificiale. Il problema è che questo 85% di entusiasti corrisponde in maniera quasi identica alla percentuale di chi, messo alle strette, ammette di non aver ancora compreso come le soluzioni Ia potrebbero migliorare l’efficienza nel proprio lavoro.

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Tra i lavoratori dell’informazione, ovvero chi per primo potrebbe avvantaggiarsi dell’impiego dell’Ia, se il 90% ha sentito parlare di ChatGpt o Copilot, solo poco più di un quarto ha già iniziato ad integrare questi strumenti nei flussi di lavoro quotidiani. La sensazione è quindi di uno scollamento grave tra l’entusiasmo del management, probabilmente convertito dalla promessa di risparmi futuri o riduzioni di personale, chi dovrebbe usare l’Ia brancoli ancora nel buio. Difficile capire come si possa dire allo stesso tempo che si è sicuri che l’intelligenza artificiale possa migliorare il proprio lavoro (56% degli utenti), sentirsi sicuro di poter usarla con successo (54% degli utenti) e, allo stesso tempo, non saperne spiegare praticamente i vantaggi. Il problema, insomma, sembra che l’entusiasmo dei manager sembra mettere i dipendenti in una situazione scomoda: per evitare guai, meglio far finta di sapere di cosa si sta parlando e sperare in bene.

Servono formazione e strategia

Un altro aspetto della ricerca è forse meno sorprendente: i più entusiasti verso il futuro promesso dall’intelligenza artificiale sono i giovani mentre i lavoratori più esperti sono quelli che vedono l’Ia con sospetto. Questo spiega perché buona parte delle persone che si occupano di Ia abbia meno di 39 anni e non provenga dai tradizionali dipartimenti It, cosa che potrebbe creare frizioni in termini di implementazione pratica. Quando viene chiesto cosa ci si aspetta dalle soluzioni Ia, buona parte spera che la loro introduzione riduca i compiti più noiosi come organizzare riunioni, scrivere email o programmare il lavoro quotidiano così da potersi dedicare a compiti più creativi. Una buona notizia è che se un terzo dei dipendenti teme di essere rimpiazzato dall’Ia, solo il 12% dei manager ammette che sta considerando di ridurre la forza lavoro; il 69% di loro pensa di usare il tempo risparmiato per affrontare progetti più ambiziosi o per formare meglio i dipendenti.

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Secondo Riccardo Brenna, responsabile della ricerca per Jabra, il problema è che manca una strategia: “Vediamo molte società ansiose di cavalcare l’onda dell’Ia ma alcune stanno ancora muovendosi nel buio quando si tratta di un’implementazione efficace”. Visto che l’uso della voce sta diventando sempre più dominante, bisognerà dare priorità a programmi di apprendimento e sviluppo per aiutare a comprendere meglio questi strumenti. Il rischio è che senza una strategia chiara, l’integrazione avvenga in maniera poco coesa, perdendo opportunità preziose per migliorare la produttività. Per evitare quello che noi chiamiamo AI-washing, le società devono valutare attentamente i guadagni di produttività che essa può offrire e coinvolgere attivamente i propri dipendenti in questo percorso”.

I problemi non mancheranno, almeno a giudicare dalle aspettative dei lavoratori, che pensano di usare il tempo risparmiato tramite l’uso dell’Ia per la cura personale, lavorare in maniera flessibile o passare più tempo in famiglia. Bisognerà trovare una soluzione: il rischio di rimanere esclusi dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale è troppo grande.

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