Nuovo appello per la Turchia nell’Ue «Ma garantisca la libertà religiosa»

«In ogni processo di unificazione le minoranze devono essere protette». Ankara seccata chiede al Papa di non usare il termine «ecumenico» quando parla del patriarca Bartolomeo

Marcello Foa

nostro inviato a Istanbul

Ancora una volta, l’Europa. Ma questa volta con accenti che solo in parte sono graditi al premier Erdogan, che nell’arco di solo 24 ore è passato dalla letizia per il pronunciamento del Papa in favore dell’ingresso della Turchia nella Ue alla rabbia per le sanzioni chieste dalla Commissione europea dopo la rottura su Cipro.
Ieri mattina Benedetto XVI e il patriarca ortodosso Bartolomeo I hanno pubblicato una dichiarazione comune in cui ribadiscono con chiarezza i sentimenti positivi riguardo il percorso europeo di Ankara, ma in cui rivendicano anche, con forza, il rispetto della diversità religiosa. «In ogni processo di unificazione le minoranze devono essere protette», scrivono, dicendosi persuasi che «i protagonisti di questa grande iniziativa non mancheranno di prendere in considerazione tutti gli aspetti che riguardano la dignità umana». Il messaggio è chiaro: se la Turchia vuole entrare in Europa deve adeguarsi alle consuetudini dei Venticinque, permettendo, oltre alla libertà di culto, anche quella di aprire scuole confessionali e di fare propaganda. Il paradosso è che i principi sanciti nella Costituzione erano stati ideati da Atatürk non contro i cristiani, bensì per arginare l’influenza dell’Islam radicale. E proprio grazie a quelle norme questo Paese resta laico. Ma è evidente che il Pontefice e il primate di Costantinopoli devono pensare innanzitutto a difendere le proprie comunità; da qui la loro richiesta a cui se ne accompagna un’altra. In un Paese abitato al 99% da musulmani rivendicano «la difesa delle radici, delle tradizioni e dei valori cristiani dell’Europa».
Non sono gli unici punti di attrito con l’esecutivo turco, peraltro marginali e che non intaccano il successo della visita di Benedetto XVI. Nel pomeriggio è Ankara a sollevare obiezioni, tramite il portavoce del ministero degli Esteri Namik Tan che, in conferenza stampa, chiede ufficialmente al Papa di non riferirsi a Bartolomeo I con l’appellativo di “Patriarca ecumenico” (inteso come “universale”). Formalmente perché ciò è vietato dalla legge, in realtà perché dalla caduta di Costantinopoli i governanti turchi temono che la riconciliazione tra queste due anime del cristianesimo possa condurre a una riconquista politica dell’Anatolia. Poco importa che l’impero ottomano non esista più, che il Vaticano non ha l’influenza dei secoli scorsi, che gli ortodossi di rito bizantino siano sempre meno numerosi: questi timori anacronistici resistono al buon senso e al trascorrere dei secoli. Ma il Papa non si è lasciato intimidire e in entrambi i discorsi ufficiali si è rivolto a Bartolomeo con l’aggettivo sgradito a Erdogan, perché prioritariamente ecumeniche erano le sue intenzioni alla vigilia del viaggio.
Il nervosismo delle autorità turche è, verosimilmente, provocato dallo scontro con la Commissione europea, che giovedì ha proposto di non aprire le trattative su otto dei 35 dossier collegati alla domanda di adesione alla Ue, fino a quando la Turchia non avrà aperto i propri scali alle merci provenienti dalla Cipro ufficiale, quella greca. Ieri il governo ha ribadito che non intende fare concessioni: l’accordo sarà possibile solo se la Commissione accetterà di aprire alla Ue anche il porto e lo scalo aereo turco-cipriota. Ankara, insomma chiede reciprocità, che però Bruxelles non può concedere per l’opposizione di Nicosia e della Grecia.
Insomma, si va allo scontro, che verrà formalizzato a metà mese durante il vertice dei capi di Stato e di governo della Ue. Nelle prossime due settimane la Turchia cercherà di ottenere uno “sconto” dai Venticinque, da quantificare con la riduzione a cinque o sei dei capitoli congelati e, soprattutto, con la revoca del divieto di chiudere anche i dossier su cui non ci sono problemi. E in questa delicatissima fase fa affidamento sui Paesi amici, a cominciare dall’Italia, come ha rivelato ieri al Giornale l’ambasciatore Marsili.

Ma per Ankara sarà difficile convincere Paesi sempre più scettici sull’opportunità di estendere verso Oriente il club europeo. Due su tutti: la Francia di Chirac e la Germania della Merkel. Sono questi due pesi massimi a rinvigorire il fronte ostile alla Turchia.

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