Il nuovo Egitto avanza su un terreno minato da fondamentalisti ed ex «007»

Il turismo precipita (-46 per cento), latitano gli investitori esteri. Il numero due di al Qaeda invoca la Sharia, la legge islamica. «I servizi segreti deviati fedeli a Mubarak sono dietro gli attentati alle chiese copte», dice il vescovo di Luxor. Ma la rivoluzione non vuole «padrini»

Se il nuovo governo del Cairo cerca di puntare sulla sicurezza per consentire all'economia del Paese di riprendersi (di ieri il dato di un calo del 46 per cento del turismo, settore fondamentale), l'Egitto resta oggetto di forti tensioni di matrice terroristica e non solo. Considerato il ruolo centrale del Paese nel mondo arabo, molte forze stanno agendo in queste settimane per mettere il cappello su una rivolta che è nata spontanea epriva di «padrini» politici.
Così l'ex numero due di al Qaeda, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri, in un messaggio audio registrato prima della morte di Osama e diffuso ieri dai jihadisti, chiede che in Egitto sia instaurata la Sharia, la legge islamica, affinché egiziani e sauditi possano prendere in mano i destini dei popoli del Maghreb.
Eppure, finora, le sirene fondamentaliste non sono riuscite a imporsi su un Paese, e una rivolta, che è sembrata avere altre matrici e altri obbiettivi. Ben illustra la complicata situazione egiziana il vescovo copto di Luxor, Joannes Zakaria, in un'intervista alla Stampa. Quella che sta avvenendo in Egitto non è una guerra di religione, dice Zakaria. «I mulmani salafiti che si sono resi protagonisti degli attacchi alle nostre chiese sono fomentati da schegge dei vecchi servizi segreti di Mubarak, che prima li usavano per combattere i Fratelli musulmani e oggi per creare un clima di tensione. Si tratta di azioni che hanno un fine politico, quello di aumentare le tensioni e far rimpiangere il regime precedente». Oggi, spiega Zakaria, sia i salafiti, sia i Fratelli musulmani che gli integralisti del Jihad vogliono prendere le redini della rivolta, capeggiarla, guidarla. Anche perché, se Mubarak li aveva messi al bando, molti fondamentalisti (circa tremila) avrebbero approfittato della sua caduta per far ritorno in patria dall'Afghanistan, dalla Bosnia, dall'Iran.
Difatti, racconta Zakaria, al momento della grande protesta popolare, «i cristiani e i musulmani stavano insieme. E sulla piazza Tahir, quando i musulmani pregavano i cristiani si mettevano attorno a loro, per proteggerli. Ma, caduto Mubarak, adesso ogni gruppo cerca di appropriarsi della rivoluzione».
Resterà così assai lunga la strada per una normalizzazione del Paese, che già soffre per la grave crisi del turismo e per una turbolenza che certo non agevola gli investimenti stranieri. Per questo il governo cerca di fare quel che può, e ha scelto la linea di punizioni esemplari che diano l'idea di un Paese dove la situazione è sotto controllo. Per esempio, quella di un poliziotto che è stato condannato a morte per essere stato riconosciuto colpevole di aver ucciso ben 18 manifestanti durante la rivolta del 25 gennaio.

Oppure le riprese televisive sulla prima udienza del processo all'ex primo ministro, Ahmed Nazif, accusato di «aver facilitato il rilevamento di denaro pubblico», e apparso in tribunale con un'uniforme carceraria bianca, seduto dietro le sbarre. Anche le immagini, soprattutto le immagini-simbolo, servono a far rinascere l'Egitto moderno.

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