Ok di Comune e Provincia all’area Falck La «città della salute» più vicina a Sesto

Ok di Comune e Provincia all’area Falck La «città della salute» più vicina a Sesto

Bitume, plastica, materiali ferrosi, idrocarburi. Un mix tossico nascosto sotto un enorme tappeto. Trentamila metri quadrati nell’area ex dogana di Segrate, parte di quella superficie su cui dovrebbero sorgere il più grande centro commerciale d’Europa (realizzato dal gruppo del costruttore bergamasco Antonio Percassi e dall’australiana Westfield), un piccolo nucleo abitativo e un pezzo di BreBeMi. Ieri, la Procura ha sequestrato i terreni, ipotizzando il reato di smaltimento illecito di rifiuti, e sette veicoli della Lucchini Artoni, altro colosso delle costruzioni, pavimentazioni stradali, e movimento terra. Indagato Vincenzo Bianchi, presidente dell’azienda.
Ma sempre ieri i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria hanno fatto visita ai comuni di Segrate e Milano, per acquisire documenti. Nel primo caso, carte relative agli scavi nell’area dell’ex dogana. A Palazzo Marino, invece, per controllare gli appalti vinti in città dalla Lucchini, e verificare eventuali irregolarità. Tutto parte da uin blitz della polizia provinciale nel bitumificicio di Segrate, in via Tiepolo. Nell’ottobre scorso, la zona viene sigillata. Quindicimila metri quadrati che sarebbero stati illecitamente adibiti a discarica di rifiuti pericolosi, interrati nonostante fossero contaminati da oli minerali, modificando in modo permanente l’area a destinazione agricola. Inoltre, non sarebbe stata rispettata un’ordinanza del sindaco di Segrate, che imponeva alla Lucchini Artoni «di provvedere alla esatta caratterizzazione della tipologia dei rifiuti presenti nell’area e di provvedere alla rimozione e avvio al recupero e smaltimento di tutti i rifiuti». Così, dopo diversi esposti degli abitanti della zona, si arriva al sequestro di ieri. Perché secondo i pm Grazia Pradella e Paola Pirotta la Lucchini avrebbe trasportato «senza alcuna valida documentazione grossi quantitativi di rifiuti, fra cui fresato d’asfalto, per depositarli e smaltirli in modo definitivo» sui terreni dell’ex dogana, e vicino allo svincolo Pandino-Dovera, in un cantiere della Paullese.
Ma non è la prima volta che l’azienda fa i conti con la giustizia. Durante l’inchiesta sul quartiere Santa Giulia, il nome della Lucchini era finito nel mirino degli investigatori, interessati a capire come l’azienda avesse svolto i lavori su un’area sorta sulle ceneri (e sui rifiuti tossici) degli stabilimenti Montedison e Redaelli. Non bastasse, nel maggio del 2009, la Dia aveva rilasciato una pesante informativa nei confronti della ditta di Segrate, con conseguente sospensione cautelare del certificato antimafia. Il nulla osta, dopo le verifiche, era stato restituito in seguito dalla Prefettura.
Ma insomma, pm e Finanza intendono vederci chiaro. Anche perché, a Milano, la Lucchini non ha lavorato solo sui terreni di Montecity, ma anche alla linea 5 del metrò e ad altre grandi opere di riqualificazione urbana, tra cui l’area di via Melchiorre Gioia e il parcheggio di largo Quinto Alpini.

Il dubbio - ancora tutto da verificare - è che anche in qualche altro cantiere della città sia stato nascosto un «doppiofondo» tossico. La certezza, però, è una stoccata alle pubbliche amministrazioni che avrebbero dovuto autorizzare e controllare. Seconod i pm, «incomprensibilmente tolleranti».

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