Olimpiadi, l’amara resa di Alemanno a un sogno troppo costoso

Olimpiadi 2020 insostenibili, anche Berlusconi convinto da Monti a passare la mano. Il sindaco di Roma: "Non si scommette sul futuro"

Olimpiadi, l’amara resa di Alemanno a un sogno troppo costoso

L’immagine di Roma adesso è tutta qui: cinque cerchi disegnati sulla neve e un sindaco alla finestra che con lo sguardo fisso, immobile, guarda tutto questo sciogliersi. L’inverno è arrivato e ha coperto la città eterna di neve e gelo come poche volte era accaduto, con le auto intruppate sul lungotevere per ore e il Muro Torto che assomigliava a una serpentina senza vie d’uscita, mentre polemiche e maledizioni cadevano sull’uomo che siede al Campidoglio. Non sarà facile per Alemanno dimenticare questi giorni di febbraio, tutto è andato come non doveva andare: l’era glaciale, le incomprensioni con la protezione civile, lo stupore dei romani davanti al maltempo, il rumore di una metropoli con troppi guai e sempre più insicura, il Tar che boccia l’ordinanza del sindaco contro le troppe manifestazioni. E poi l’ultima goccia: il no alla speranza, alle illusioni. Questo «no» fa male. Tanto che molti pensavano che il sindaco si sarebbe arreso. Si è parlato di dimissioni, di rabbia e delusione. Alemanno ha smentito in fretta: «Non mi dimetto». Solo che ha preso tempo prima di parlare. Niente conferenza stampa, meglio un comunicato, per far sbollire tutto e non aggiungere sale alle ferite. Poi la telefonata di Napolitano.

Alemanno sotto questa neve ha cercato di rilanciare, parlando di un sogno. Roma 2020, Roma olimpica, Roma come più di cinquant’anni fa, quando Abebe Bikila correva a piedi nudi sotto il Colosseo, con le braccia alzate e la strada illuminata dal fuoco antico delle fiaccole. Alemanno ci ha sperato, ci ha creduto, mettendo sul tavolo una scommessa disperata per lasciare il segno in quest’avventura da sindaco con troppe spine. È andata male. Le olimpiadi possono attendere.

Forse il sindaco qualcosa di storto aveva annusato. Monti non si era mai sbilanciato e non è tipo da scaldarsi per i sogni. Come fai a scommettere sul 2020 in una situazione come questa? Troppi soldi, troppi rischi, troppe incertezze. E così Monti ha detto no. Queste olimpiadi non si possono fare. Si sa come vanno queste cose: uno mette in bilancio tot e poi i costi lievitano anno dopo anno, sprechi, creste, interessi, fregature. Meglio lasciare i giochi a Istanbul, come suggeriscono i tedeschi.

Monti non si è fidato, non è il linea con la sua austerità o forse semplicemente vede il 2020 troppo lontano. Il suo, in fin dei conti, è un governo a tempo determinato. Perché prendersi una responsabilità del genere? Non ne vale la pena. Per Alemanno, invece, la Roma a cinque cerchi era la sua ultima grande occasione. Ci aveva sperato. Berlusconi gli aveva promesso l’appoggio del partito, e infatti il Pdl si è battuto per le olimpiadi, ma lo stesso Cavaliere ha capito le ragioni di Monti. Il nuovo e il vecchio premier si sono parlati ieri. Berlusconi ha capito. Alemanno avrebbe voluto dal governo un atto di coraggio: «Io rispetto queste considerazioni ma non le condivido. Rinunciare ad una candidatura vincente, sostenuta da un progetto di ottimo livello tecnico e di grande sobrietà economica, significa non scommettere sul futuro dell’Italia».

Quando si dice passo al tavolo da gioco qualcosa si perde e Roma da questa storia esce sconfitta. Il buon Pier Ferdinando Casini ha applaudito il governo: «Scelta saggia». Solo che adesso dovrà spiegare al suocero Caltagirone perché. Saranno in tanti a perderci. Tanti sconfitti. È la sconfitta della politica che non può guardare lontano. È la sconfitta di chi guardava alle olimpiadi come un affare. È la sconfitta del turismo e dei palazzinari, dei sognatori e delle tv, dei tassisti e dei ristoranti. È la sconfitta di una città leggendaria che non ha più la forza per pensare in grande. Forse Monti non ha avuto coraggio, ma non c’è dubbio che di coraggio ne serviva parecchio.

Era una scommessa da giocatori di poker, da Texas Texas hold ’em. Alemanno era pronto a giocarsi il suo all inn, ma i padroni del locale hanno bussato sulla sua spalla, per dirgli: «Non è il caso, signore». Di questi tempi a Roma anche i sogni costano troppo.

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