Omicidio Desirée: 30 anni all’adulto del branco

Milano, la difesa aveva invocato per l’imputato le attenuanti

Enrico Lagattolla

da Milano

Alla lettura della sentenza, Giovanni Erra non reagisce. Come non avesse capito. Il suo legale, l’avvocato Giuliano Spazzali, gli si avvicina. All’orecchio, gli spiega la decisione appena presa dalla corte d’Assise d’Appello del tribunale di Milano. Trent’anni di reclusione per l’omicidio di Desirée Piovanelli, la studentessa di 14 anni uccisa nell’autunno di tre anni fa in un cascinale di Leno, nella bassa Bresciana. Giovanni Erra abbassa lo sguardo e si fa serio. Ha capito.
In aula, anche i genitori della ragazza. Maurizio, il padre, e soprattutto la madre, Maria Grazia, che per la prima volta si presenta in Tribunale. Troppo traumatico, ma questa volta è diverso. Non parla, schiva fotografi e cronisti, tuttavia è presente «per una forma di ringraziamento nei confronti del sostituto procuratore generale - spiega il marito - che ha insistito nel chiedere trent’anni». E in aula, lo sguardo con Erra non si incrocia, quasi mai. Solo alla fine, quando tutto è deciso, per cogliere la reazione del condannato.
E nemmeno Erra li guarda. Trentotto anni, pantaloni e giubbotto scuri, occhiali sottili, capelli corti. Entra da un ingresso secondario, scortato dagli agenti della polizia penitenziaria. Ascolta l’arringa e le repliche dei giudici, poi la sentenza. In silenzio.
Sono passate da poco le 17, la condanna arriva dopo oltre tre ore di camera di consiglio e dopo l’arringa della difesa, durata tutta la mattina. L’avvocato Spazzali chiede che vengano considerate prevalenti le attenuanti (come l’infantilità di Erra, accertata anche dalle perizie) rispetto alle aggravanti. «Ha collaborato alle indagini - è la tesi del legale - ed era incensurato».
Così non avviene. La Corte accoglie le richieste del pg Piero De Petris, avanzate nella requisitoria dello scorso 26 ottobre. A Giovanni Erra vengono contestati anche i futili motivi, e il fatto di aver commesso il delitto per occultare la violenza sessuale. Le aggravanti.
La vicenda. È il 28 settembre del 2002, un sabato. Desirée Piovanelli venne attirata con una scusa nella cascina Ermengarda di Leno. Con lei c’è Nicola, il vicino di casa. A breve, uno dei suoi carnefici. È una trappola. Ad aspettarla, infatti, ci sono anche Mattia e Nico, gli altri due minorenni che abitano in paese. E poi c’è Erra, l’adulto del branco. In breve, il massacro. Gli abusi sessuali, il tentativo di fuga, le coltellate. Secondo i primi risultati delle autopsie, Desirée muore dopo una agonia di un'ora e mezza per le coltellate ricevute, anche se quella alla gola viene inferta quando la ragazza è ormai morta. Forse, il tentativo di sezionare il cadavere, per poi farlo sparire.
Giovanni Erra, un operaio che abita vicino a casa Piovanelli, viene sentito dai carabinieri già l’indomani, domenica 29. È tra i primi indiziati. In casa di Desirée, infatti, gli inquirenti trovano una lettera in cui la ragazza parla di quello che sarebbe diventato il suo assassino. Ingenuamente. «Pensa che piaccio anche al mio vicino di casa - scrive -. Lui ha 35 anni, è sposato e ha pure un figlio».
In breve emergono anche le complicità, quelle di tre minorenni di Leno. Le confessioni, poi la decisione Tribunale dei minori: 10 anni a Mattia, 18 a Nicola, 15 anni e 4 mesi a Nico. Condanne divenute definitive dopo la sentenza pronunciata dalla Cassazione nel giugno dello scorso anno.
Più complessa, invece, la vicenda giudiziaria di Erra. Condannato in primo grado all’ergastolo, in appello il giudice del tribunale di Brescia riduce la pena a 20 anni. Quindi, il ricorso alla Cassazione, che ordina di rifare il processo. «Il conteggio della pena è discutibile», la motivazione. Si arriva quindi all’appello di ieri, il secondo. Con i giudici del tribunale di Milano che fissano la pena a trent’anni.

Il massimo consentito in base alle indicazioni della Suprema Corte. Per quanto riguarda l’imputato, sembra probabile un nuovo ricorso in Cassazione da parte dei legali.
Per ora, resta l’amara soddisfazione dei genitori di Desirée. Parole strozzate in gola. «Speriamo finisca qui».

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