Si chiama Parco degli Alberi Parlanti ma è muto come un pesce persico. Abita tra villa Margherita e villa Manfrin, alle porte di Treviso, è multimediale e interattivo, ma non dà confidenza a nessuno e si è imposto, come un cilicio di peli di capra, regole di comportamento che nemmeno il penitenziario di Sing Sing o un monastero trappista hanno osato. Silenzio assoluto. Si comunica a gesti o con l’alfabeto muto, se ti tocchi l’orecchio è una «g», se ti copri la bocca è una «a». Più che il Parco degli Alberi Parlanti sembra la Casa dalle finestre che ridono. Che era un horror. Ma di Pupi Avati.
Vietato giocare a pallone, vietato portare a spasso il cane, vietato parlare, anzi per essere più precisi vietato vociare, cioè strillare, gridare, divertirsi come bambini magari ridere, scherzare, cantare canzoni sul prato. Baciarsi si può a patto che non ti piaccia troppo sennò si sente. Avessero scritto vietato vivere avrebbero fatto prima. Vivere invecchia, consuma, fa male alla salute. Perchè insistere?
Il posto da un po’ di tempo è diventato un percorso di guerra, un campo minato, che ha quasi più cartelli che alberi, più silenzi che parole: «Il verde è a disposizione di tutti, rispettiamolo e lasciamolo pulito», «Giochiamo nel parco, ma non usiamo la palla per non rovinare la vegetazione», «Nel parco manteniamo un tono di voce moderato tra le ore 13 e le ore 15». Manca: «Ricordati che devi morire». Mò ce lo segniamo. Sotto il cartello che vieta l’ingresso ai cani la ribellione è una parola sola che una turista straniera, così si è firmata, ha scritto indignata con il pennarello: «Incivili».
È la solita Italia: si ispira al liberismo, predica la deregulation, pratica il menefreghismo, invoca la libertà dei costumi, l’ognuno si vesta come gli pare, viva come crede, poi butti l’occhio appena sopra la testa, dove appendono la segnaletica, e ti ritrovi in posti senza via di fuga, come nel regime degli ayatollah, mancano il divieto di giocare a carte, di indossare cravatte, di esporre manichini dalle forme sconvenienti e dal viso truccato, ma ci arriveremo, senza fretta, da uomini liberi e liberati.
Il divieto, estate o no, è un’ossessione che dilaga, una parodia del sociale, un percorso di guerra. Mette di buonumore solo per la straripante varietà delle ordinanze contro: a Torre del Lago guai a te se entri in bikini al supermercato, a Capri non si può circolare con gli zoccoli, a Forte dei Marmi tagliare l’erba il sabato e la domenica, a Orbetello masticare chewing gum, a Lecco chiedere l’elemosina, a Chiavari parlare con le prostitute, a Eboli baciarsi in macchina. È tutto così da Eraclea a Cittadella, dal Monte Argentario a Positano, stop ai costruttori di castelli di sabbia, ai mangiatori di kebab, a chi fa uno spuntino sotto l’ombrellone. In Alto Adige, per stroncare ogni tentativo di ribellione, vietano di danneggiare i cartelli di divieto. Una volta invece era di moda il vietato vietare. Sindaci, assessori, ordinanze sono come un’epidemia di influenza permanente, non ci si bacia, non ci si stringe la mano, ma la suina almeno a febbraio dovrebbe fare le valigie e andarsene, i pasdaran dell’ecologicamente corretto non è detto.
Anche all’estero non c’è una vera legge che stabilisca la separazione delle carriere tra sindaci e scassapalle: Gent, Belgio, ha abolito la fettina di carne il giovedì, Truro, Canada, le sigarette all’aperto, Vauban, Germania, le macchine per sempre. Ma nessuno prima d’ora aveva aggiunto alla legge un emendamento che abolisce la chiacchiera da parco, il pettegolezzo sulla vicina, i quattro amici al bar tranne la Cina in piazza Tienanmen e il mullah Omar a Kabul. Il Parco degli Alberi Parlanti è gestito da poco più di un anno dal Gruppo Alcuni, che, raccontano da queste parti, ha recuperato la grande struttura ad arco della cedraia rendendola un bar con una sala per esposizioni, un museo e un laboratorio.
Durante l’anno, soprattutto d’estate, organizzano concerti, spettacoli e letture, soprattutto per i più piccoli. Magari anche un film non sarebbe male. Il silenzio degli innocenti per esempio. Un silenzio che fa paura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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