«Ormai a Tor Pignattara si parla arabo»

Nelle strade del quartiere lungo la Casilina la gente è ancora incredula e spaventata

Omar Sherif H. Rida

Via Ettore Rota, il giorno dopo. Si respira l’aria che segue i grandi eventi a Villa Alessandra, il complesso di palazzine dove ieri gli uomini dei Nocs hanno catturato il quarto attentatore di Londra, Isaac Hamdi. «’A nuttata» è appena passata: l’assalto di giornalisti, telecamere, fotografi, semplici curiosi, la blindatura dell’intera zona, sembrano già far parte di un ricordo da custodire e tramandare ai posteri.
Il ricordo del giorno in cui un tranquillo e ordinario condominio della periferia romana, è finito sotto la luce dei riflettori per essere entrato a far parte della storia, quella di inizio ventunesimo secolo, quella segnata dal terrorismo internazionale, che ha allungato i suoi tentacoli anche in quest’appartamento di 90 metri quadri alla palazzina n. 8, materializzandosi sotto forma di un etiope «uomo bomba» mancato.
«Ma perché proprio a noi - si chiede un’anziana signora -? In 35 anni qui non era mai successo niente. Poi da quando sono arrivati tutti questi extracomunitari le cose sono cambiate. In quella casa vedevo spesso arrivare persone diverse solo per dormire: molti infatti uscivano all’alba e poi non tornavano più». Anche un’altra donna affacciata alla sinistra dà la colpa «a quelli», «che sono troppi, che ci tolgono il lavoro, di cui ormai siamo saturi. Il fratello dell’arrestato? Mai visto e conosciuto».
Eppure la storia qui c’è stata e, parafrasando le note della famosa canzone di Francesco De Gregori, «si è fermata davvero davanti a un portone». Come testimoniano i sigilli apposti dalla Digos su ordine della magistratura davanti all’ingresso dell’abitazione al primo piano, accanto all’ascensore, dove risiedeva Remzi Isaac, perquisito fino all’una di notte dagli uomini della scientifica.
E come si intuisce anche dalle impressioni che si scambiano gli altri inquilini, che ricostruiscono quelle ore a partire da dove si trovavano (proprio come accade in occasione degli eventi eccezionali: la morte di un papa, i grandi attentati, le grandi cerimonie pubbliche). «Io ero all’ospedale - racconta la signora del piano terra -. Anch’io ero uscita - risponde quella del secondo piano - e mi ha avvertito mio figlio, un po’ spaventato, tanto che gli ho detto: se tira una brutta aria allontanati. Andrà a finire che le bombe ce le piazzeranno in casa».
Nessuno, ovviamente, ha visto il quarto attentatore di Londra, mentre qualcuno ricorda di aver scambiato saltuariamente un «buongiorno e buonasera» con il fratello. «Certo che qui è successa una cosa grossa - chiosa infine un signore con i capelli brizzolati -. E chi avrebbe mai immaginato che uno che cercavano in tutto il mondo venisse a rifugiarsi proprio da noi? Sapete che mi ha detto uno dei Nocs ieri? Dobbiamo ringraziare Dio che l’abbiamo preso, soprattutto per voi».
Lo scenario cambia a pochi chilometri di distanza. Quartiere Centocelle, via dei Frassini n. 4, moschea Al Huda, dove venerdì, giorno di festa islamico, Hamdi e Remzi Isaac hanno partecipato alla preghiera delle 13.30, l’ultima da uomini liberi. Qui, dentro e fuori il garage sotterraneo che conduce al luogo di culto, regna il sospetto.
Dentro, il direttore della moschea Mohamed dice ai cronisti di non conoscere i due fratelli e rimanda tutti alla conferenza stampa delle 19 che terrà l’imam tunisino Samir Khaldi. «Ieri qui c’erano 800 persone - si giustifica -. A dirci che erano stati qui sono stati gli uomini della polizia quando ieri - venerdì - sono venuti per la perquisizione». La seconda, dopo quella dei giorni scorsi in alcuni negozi adiacenti.


Fuori, alcuni extracomunitari stazionano a capannelli davanti all’alimentari («il mercato arabo»), alla macelleria islamica, ai due phone center con le scritte in italiano e in arabo. Nessuno ha voglia di parlare: «Quello che hanno arrestato? Noi non ne sappiamo niente. E poi lasciateci in pace, abbiamo già così tanti problemi».

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