Pacchetto Ue sul clima, le carte dell’Italia sulle emissioni

Oggi a Bruxelles il Consiglio europeo si riunisce per varare le misure su emissioni e fonti di energia. Le richieste dell’Italia. Il ministro Prestigiacomo: "Atmosfera positiva, altrimenti voteremo contro"

Pacchetto Ue sul clima, le carte dell’Italia sulle emissioni

Europa e clima, sono ore decisive per il varo del «pacchetto» sull’ambiente. Il ministro Stefania Prestigiacomo, a margine del Consiglio Ue di ieri, descrive «l’atmosfera costruttiva che si registra nel negoziato fra gli Stati membri, con una maggiore attenzione da parte della presidenza di turno francese e degli altri partner alle esigenze specifiche dell’Italia». Ma, avverte il ministro, «alla fine non si tenesse conto in modo soddisfacente delle nostre esigenze, voteremo contro». Nessun veto vero e proprio, dunque, ma una lista precisa delle richieste da parte del governo. I desiderata. L’Italia chiede innanzitutto che alcuni settori di interesse nazionale (come carta, vetro, ceramica, siderurgia) siano inseriti nel dossier dei settori a rischio di delocalizzazione, quindi da proteggere attraverso l’attribuzione di diritti di emissione di CO2 gratuiti. Su questo il negoziato è ancora in corso: la Germania vuole lo stesso per cemento, calce, acciaio e chimica di base. Tutto dipenderà dai parametri che verranno fissati per definire i comparti a rischio. La seconda richiesta italiana è di favorire un uso più ampio dei «credito» generati dai progetti che permettono il taglio di emissioni all’estero. In altre parole, sono fondi che possono essere contabilizzati ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni. Perciò il governo impone due condizioni: l’assicurazione che possano proseguire le iniziative delle imprese italiane nei mercati emergenti in Cina e India; e la possibilità per le aziende nazionali di acquistare all’estero, dove costano meno, i permessi di emissione che nel mercato Ue hanno invece prezzi molto più alti. L’Ue rilancia. Il Consiglio Ue, da parte sua, ha proposto che i crediti esterni non superino il 50% dell’obiettivo nazionale di riduzione dello CO2 per quanto riguarda l’industria. Per i settori non industriali - agricoltura, turismo, abitazioni, trasporti e servizi. Il terzo «desiderata» riguarda il settore termoelettrico: la proposta originaria della Commissione europea prevede che le centrali elettriche paghino «tutto e subito», cioè che acquistino all’asta la totalità dei propri permessi di emissione fin dal 2013. L’Italia vorrebbe un’introduzione graduale dei permessi a pagamento, con quote gratuite decrescenti dal 2013 al 2020. Il nodo dei controlli. Poi c’è la questione chiave, relativa al monitoraggio del rispetto degli impegni di riduzione delle emissioni. La Commissione e l’Europarlamento vorrebbero suddividere gli obiettivi nazionali per il 2020 in scadenze vincolanti annuali, applicando alla fine di ogni anno delle sanzioni agli Stati membri inadempienti (un aumento dei tagli del 30% l’anno successivo). Il governo ritiene che questo meccanismo sanzionatorio aggiungerebbe ulteriori vincoli e costi al sistema produttivo, e chiede invece di riportare sull’anno successivo, senza penali, i tagli alle emissioni previsti ma non realizzati, così come prevede la proposta della presidenza di turno francese. Le condizioni dell’Italia. La Prestigiacomo, infine, si fa portavoce di due clausole di revisione: la prima complessiva, su tutto il pacchetto clima, da effettuare dopo la conferenza Onu di Copenaghen del dicembre 2009, per valutare gli accordi internazionali eventualmente conseguiti e le adattare di conseguenza gli impegni dell’Ue. L’altra clausola di revisione interessa la sola direttiva sulle energie rinnovabili. Il governo su questo punto insiste, con un fax arrivato in extremis nelle mani del rappresentante della presidenza francese, l’accordo già quasi raggiunto nella notte di mercoledì, nel negoziato a tre fra Europarlamento, Consiglio Ue e Commissione. L’Italia vuole la possibilità di riesaminare nel 2014 il funzionamento della direttiva, e di rimetterne in causa, se necessario i meccanismi e gli obiettivi nazionali (l’Italia, per l’Europa, deve portare al 17% del totale il proprio consumo di energia prodotta con fonti «verdi»). Gli altri 26 Stati membri e l’Europarlamento però sono contrari.

«Stiamo ancora lavorando e continueremo a lavorare instancabilmente fino alla fine perché le nostre richieste siano accolte», ha detto il ministro dell’Ambiente. Tuttavia, «è evidente che se ci sarà un “no” su tutto l’Italia dovrà prendere posizione contro il pacchetto». La partita sta per cominciare.

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