Marzio G. Mian
L'aveva detto Serena Williams: «Ho rischiato di morire di parto. Come qualsiasi donna nera. Il pregiudizio ci riguarda tutte. Io sono solo stata più fortunata perché stavo in un ospedale per ricchi». La campionessa del tennis, 23 titoli del Grande Slam, aveva fatto clamore nei mesi scorsi con le sue dichiarazioni all'indomani della nascita della figlia Alexis Olympia via taglio cesareo, come accade per quasi la metà delle donne americane - rivelando che i medici avevano ignorato il suo trascorso clinico di trombi, tanto che su sua insistenza, visto che le mancava il respiro e i battiti calavano, l'avevano rioperata così da scoprire un grande ematoma ai polmoni: «Sarei morta se non mi fossi fatta sentire e non fossi stata un personaggio famoso. Mi dicevano che ero confusa a causa degli antidolorifici. Invece avevo un'embolia polmonare». Il caso della Williams, con le cover di Vogue e il rilancio mondiale della vicenda attraverso un'intervista alla Cnn, non è stato che un'anticipazione di quello che sarebbe emerso da un'impressionante rilevazione nazionale dello Us Center for Desease Combat: gli Stati Uniti sono il Paese più pericoloso dove partorire tra quelli sviluppati; nel 1960 erano al dodicesimo posto, ora stanno al trentaduesimo su 35. Dati che la stampa americana sta cercando di analizzare, con grande imbarazzo, perché alla base del fenomeno c'è una provata questione razziale.
Secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità, nel mondo la mortalità tra le partorienti è calata del 44 per cento tra il 1990 e il 2015; ma negli Usa, stando ai dati forniti dal Pregnancy Mortality Surveillance System, è aumentata da 7.2 casi ogni 100mila parti del 1987 ai 18 ogni 100mila del 2015 (l'ultimo dato disponibile in Italia è di 8 casi ogni 100mila, meglio della Germania che sta a 10), tre volte più del confinante Canada. Ciò che emerge dal dossier americano è che le donne nere hanno quattro volte più possibilità di morire di parto delle bianche e che i bambini neri hanno il doppio delle possibilità di non nascere dei bianchi. «Come dimostra il caso della Williams, non è una questione legata alla povertà», dice Monica Simpson, direttrice di SisterSong, un'organizzazione che si batte in difesa delle madri di colore: «È provato che ogni donna nera con un'istruzione avanzata ha tre volte la possibilità di morte materna di una bianca che non ha superato la scuola dell'obbligo». La Simpson già nel 2104 aveva denunciato gli Stati Uniti davanti alla sede dell'Onu di Ginevra per violazione del trattato internazionale sui diritti umani, e Washington era stata obbligata a creare un sistema di raccolta dati nazionale sul fenomeno, impegno ampiamente disatteso, quasi a confermate il timore che i risultati potessero rivelare quanto emerge con la recente ricerca finanziata da fondi privati. «Gli Stati Uniti sono tra i 13 paesi al mondo dove la mortalità infantile e materna è peggiore rispetto a 25 anni fa. Non è una questione di condizioni economiche, infatti il Messico sta meglio di noi nonostante il 50% della popolazione si trovi al di sotto della soglia minima di povertà», dice la Simpson.
Gli Stati a registrare le percentuali peggiori sono quelli del Sud, Louisiana (60 donne morte ogni 100mila parti), Alabama, Mississippi, Georgia. Con gli Stati «bianchi» del New England la situazione migliore è quella della California che negli anni ha investito nella Sanità pubblica tanto da ridurre la mortalità materna dal 14.6 del 2003 al 7.3 del 2016. Fa eccezione San Francisco, che dimostra il trend nazionale. Anche se la popolazione nera, totalmente esclusa dall'onda miliardaria della digital economy, si è rapidamente ridotta al 5 per cento degli abitanti, per lo più segregata in due quartieri-ghetto, la mortalità infantile in città colpisce per il 25% la comunità afroamericana. «Il vero problema è che si fa di tutto per non generare allarme sul tema razziale», dice Andrea Jackson, professore di ginecologia all'Università della California. I medici danno la colpa all'aumento esponenziale dei casi di diabete e alta pressione tra le donne di colore, così come la piaga dell'obesità che colpisce oltre la metà delle donne americane. Ma ciò che emerge lo ha fatto recentemente con una lunga inchiesta Linda Villarosa per il New York Times - è che dietro i tassi di mortalità infantile e materna tra i neri ci sia la discriminazione razziale: «Non ci sono solo i pregiudizi, più o meno inconsci, nelle sale parto, che portano a trascurare le donne di colore, di qualsiasi condizione economica. Nemmeno l'esclusione di milioni di donne nere dal programma sanitario a pagamento che nega loro l'accesso ai controlli e alle cure prenatali e post natali, 2,4 milioni solo in Texas. Ciò che emerge», dice Curtis Chan, responsabile del sostegno alla maternità del comune di San Francisco, «è che l'orrenda storia razziale americana ha prodotto effetti velenosi nei corpi delle donne afroamericane, uno stress tossico che uccide loro e i loro figli. In altre parole, la segregazione dei quartieri, le scuole inadeguate, le detenzioni di massa, la brutalità della polizia, hanno lasciato il segno nei corpi delle donne, abbattendo il loro sistema immunitario».
Linda Villarosa ha scoperto che nel 1850, cioè 15 anni prima della fine dello schiavismo, fu condotta un'indagine secondo cui ogni mille parti erano morti 340 bambini di colore e 217 bianchi. Quindi oggi la situazione è peggiore del 1850. Tra il 1915 e il 1990, grazie al miglioramento delle condizioni igieniche e di quelle economico-sanitarie, i livelli di mortalità sono crollati in generale del 90%. Poi l'impennata.
«Ora sappiamo che l'esperienza per una donna di colore di vivere in America», dice Villarosa, «produce qualcosa al tuo corpo, fa sì che tu possa morire partorendo oppure che i tuoi bambini nascano sottopeso o morti. Inoltre che esiste un razzismo nel sistema sanitario, per lo più inconscio, e che riguarda Serena Williams come l'ultima nera del ghetto di Chicago».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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