L’ultimo manganello nelle mani dei tifosi è la par condicio. Bravissimi loro ad usarla e insensati coloro che gliela fanno usare. Le partite di Parma e Catania, prima ancora che scontri promozione-scudetto, sono diventate terreno di scontro sull’esserci o il non esserci. Catania chiusa ai romanisti, salvo ripensamenti. Parma probabilmente chiusa agli interisti, se Prefetto e Questore manterranno la tremarella da cui sono stati presi ieri. Il tutto per evitare facili imbarazzi all’Osservatorio del Viminale e, magari, per non farsi ancora assordare dagli strepiti di Matarrese e di tutti coloro che occhieggiano alla Roma e ai suoi tifosi, senza pensare che ordine e sicurezza pubblica sono un bene da non sprecare: a Catania, a Roma, a Milano, a Parma, insomma un po’ dovunque.
In realtà la decisione logica sarebbe quella della prima ora: ovvero «sì» agli interisti a Parma, previsti come pacifici invasori, «no» ai romanisti a Catania per evitare vendette (a Roma furono coltellate) e insensate scorrerie fra due tifoserie in una città dove tensione e incidenti hanno combinato già troppi disastri. Molto più tranquillizzante la situazione di Parma, ma i tifosi hanno capito il trucco e si sono adeguati, lamentandosi della impar condicio: perché dovremmo sorbirci il tifo avverso degli interisti, quando quelli del Catania non si sorbiscono i romanisti? Anche così si nutrono i sogni e magari le speranze di salvezza: tutti contro uno. Una risposta sensata l’ha data Piero Marrazzo, presidente della Regione Lazio: «Avrei preferito vedere i romanisti con la Roma, ma vietare la trasferta agli interisti sarebbe una vendetta inutile». Appunto.
L’Osservatorio ha fatto notare che «non esiste disparità di trattamento, ma semplicemente sono stati adottati criteri e parametri identici per casi del tutto differenti». Da qui al lavarsene le mani, affidando al Prefetto di Parma la decisione finale, è stato tutt’uno. E alla voce «segnalate criticità sotto il profilo dell’ordine pubblico a Parma», vien rubricata l’ipotesi di chiusura agli avversari per evitare che i romanisti mettano in atto il piano bis: non possiamo andare a Catania? Bene, tutti a Parma a tifare contro. A quel punto caos e rischi all’ordine pubblico sarebbero garantiti, perché gli ultrà interisti hanno deciso di recarsi ugualmente al Tardini. «Vogliamo tifare, circonderemo lo stadio e faremo sentire la nostra voce anche dall’esterno», hanno garantito. E allora cosa squittiranno Matarrese, presidente di Lega, la federazione e tutti quegli italici ingegni, giornalisti compresi, che non hanno ancora compreso il pericolo di certi giochini al farsi bello davanti ai tifosi?
L’Italia del calcio ormai è un Paese così: se i tifosi si gemellano, nessun problema. Sennò meglio lasciarli a casa. O tutti davanti alla televisione. Tanto per non andare lontani, questa era una vecchia idea di Berlusconi. Meglio un calcio che nega par condicio, rispetto a un calcio che annega nei drammi.
In attesa di un’ultima decisione, ieri il sindaco di Roma, Alemanno, ha cercato l’equidistanza: «Ci prendiamo una bella responsabilità a sostenere la causa dei tifosi, tutte le istituzioni dovrebbero lavorare per evitare incidenti». Il presidente del Catania, Pulvirenti, dice che un calcio senza tifosi non esiste. Vero, ma bisognerebbe dirlo anche ai suoi tifosi. Il procuratore della Repubblica di Catania, Vincenzo D’Agata, pensa al bene comune: «Mettere insieme le due tifoserie sarebbe una miscela esplosiva».
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