Non solo antifascismo

La sua vita conta perfino di più della morte. Matteotti è l'antifascismo

Non solo antifascismo
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La sua vita conta perfino di più della morte. Matteotti è l'antifascismo e non solo perché i fascisti lo hanno ammazzato, da vigliacchi, in quel 10 giugno del 1924, quando esce di casa a piedi per andare a Montecitorio e sul Lungotevere Arnaldo da Brescia viene caricato a forza su un'auto e lui si difende, si divincola, combatte con tutte le forze, ma viene pugnalato per finirla lì, per sempre. Matteotti conosce bene Mussolini. È la sua antitesi. Sono stati l'uno contro l'altro anche nel Partito socialista. Lo ha affrontato dopo la metamorfosi. È ancora lì, quando Mussolini capo del governo sta cercando di prendersi l'Italia. È il deputato che si alza in piedi e non arretra. Non si lascia condizionare dalla paura. Denuncia le violenze del fascismo. Non chiede conto a Mussolini delle sue idee, perché sa benissimo che Benito è un funambolo della politica, quello che vuole è il potere e non gli interessa se il carro che lo porta lontano sia rosso o nero. Non chiede patenti di democrazia. Mussolini in questo non ha mai avuto bisogno di dissimulare. Era ed è antidemocratico, da direttore dell'Avanti e in camicia nera. È appunto il figlio del secolo, del tempo dissennato e violento che sta vivendo. È guerra e rivoluzione. Matteotti inchioda Mussolini sui fatti, uno dopo l'altro, con la pignoleria di un contabile, date, luoghi, nomi, eventi. È successo qui, quel giorno, a quell'ora, con questi testimoni e si sa benissimo chi sono i responsabili. Lo sanno anche polizia e carabinieri. Lo sanno i giornali, ma fanno finta di niente.

Sono aggressioni, devastazioni, delitti. È sangue e morte. È così che cade una democrazia, tra applausi scroscianti. Tutto questo Matteotti lo dice in Parlamento, quando ancora c'è una parvenza di sacralità. Non evoca il fascismo. Lo racconta minuto per minuto. Non fa mai la vittima. Lo diventa e non per scelta sua. Ne avrebbe fatto volentieri a meno. Matteotti, come Mussolini, si muove dentro un mondo che sta cambiando. L'ingresso delle masse nella storia, la guerra e il suicidio dell'Europa, la rivoluzione in Russia, le ideologie totalitarie, il fordismo e le conseguenze della seconda rivoluzione industriale. Ci sta dentro e sa che nulla sarà come prima. La sua sensibilità lo porta a sostenere le ragioni e le speranze di chi non ne ha. È vicino al suo Polesine. «Il piccolo centro - scrive nel novembre del '14 - è il grande centro. Non vi è che una differenza di ampiezza materiale. Tutta la campagna senza fine del Polesine è la grande città. La cronaca di Milano è la cronaca dei campi nostri, con le stesse miserie e meschinità». La sua risposta al grande caos non è però arroccarsi per scacciare la paura. Non chiude al futuro. Lo apre e scommette sull'orizzonte. Non vende sicurezza. Non vende paradisi in terra. È un riformista. È, il suo, un socialismo che va avanti passo dopo passo e che Antonio Funiciello ha appena messo in evidenza in Tempesta (Rizzoli), il saggio in cui ne rivendica la tradizione culturale. «Il pensiero politico di Matteotti è andato perduto e non casualmente. Dimenticare il suo socialismo e preservare solo la spuria memoria del suo antifascismo è stato il compito che la cultura comunista ha assolto con zelo». Nel marzo del 1924 Matteotti spiega che fascismo e comunismo si giustificano e si tengono a vicenda. È la domanda che Matteotti rivolge al comunista Angelo Tasca: «Siete disposti a rinunciare alla dittatura e a dire che siete contro tutte le dittature?». Questo è un punto che ancora si fa fatica a superare. È stato forse chiarito alla fine del Novecento, ma poi si è di nuovo rimpantanato. Non basta dichiararsi antifascisti per essere libertari. L'antifascismo da solo non è una patente di libertà. Si può avere una cultura totalitaria perfino se si sfila con orgoglio in piazza il 25 aprile o se si alzano bandiere teocratiche nelle migliori università. È il punto cieco di questa storia. È lì dove si è persa l'eredità di Matteotti. È quella che proprio ieri alla Camera Giorgia Meloni, accusata di silenzio sull'antifascismo, ha voluto onorare e in qualche modo rivendicare.

«Siamo qui a commemorare un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee. Matteotti ci ricorda che la nostra democrazia è tale se si fonda sul rispetto dell'altro, sul confronto, sulla libertà, e non sulla violenza». I confini della libertà non si fermano all'antifascismo.

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