RomaLa piazza può attendere, la priorità è unaltra: «Dobbiamo abbassare i toni per trovare una soluzione più condivisa possibile e salvare il salvabile». La linea di Gianfranco Fini, per superare limpasse liste e archiviare innanzitutto il «pasticciaccio romano» che lo rende ancora nervoso, parte da questa premessa. Perché al di là della «delusione», profonda e persistente, per la gestione dilettantesca della vicenda, a cui gli ex An hanno parecchio contribuito, per il presidente della Camera si deve fare di tutto per evitare il patatrac. Voltare pagina, quindi, anche se nel mirino, raccontano i fedelissimi, rimarrebbe il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Tanto che il maligno di turno la mette giù così: «Vi è sembrata davvero casuale la nomina a sottosegretario di Andrea Augello, adesso molto vicino alla terza carica dello Stato, responsabile della campagna elettorale di Renata Polverini?». Il non detto fa rima con «segnale chiaro al sottobosco capitolino», verso cui lex leader di An si preparerebbe, ad urne chiuse, a fare «piazza pulita» o, quantomeno, a «creare un polo alternativo».
Al centro dei suoi pensieri, dunque, ci sarebbe la partita laziale per cui si è speso molto, dopo aver caldeggiato in prima persona la candidatura dellex leader Ugl. Motivo per cui Fini veste ora i panni di mediatore diretto, tra un dibattito su bioteca o immigrazione, e da due giorni lavora sotto traccia per ammorbidire le varie posizioni, attraverso una serie di «contatti informali» aperti con lopposizione. Una strategia che sintravede nelle parole del finiano Carmelo Briguglio: «Accogliere lesortazione di Bersani ad ammettere da parte del Pdl la responsabilità degli errori nella presentazione delle liste non sarebbe uneresia ma un atto di onestà intellettuale e di intelligenza politica, che serve a tentare di ricreare un clima di civiltà e dialogo tra maggioranza e opposizione».
Ma non basta. Di mezzo cè pure il Colle. E anche su questo versante Fini «si spende». Non si espone in maniera esplicita sullipotesi decreto, ma confida: «Limportante è che il provvedimento stia bene al capo dello Stato». Non sprizza gioia dinanzi ad una «leggina» ad hoc, ma, consapevole della necessità di garantire a milioni di cittadini la partecipazione al voto, valuta senza preclusioni le opzioni sul tavolo. Lo fa anche ad ora di pranzo, con Amedeo Laboccetta, deputato a lui vicino, che invia al Cavaliere e a via dellUmiltà una documentazione stilata per loccasione, dopo aver informato che «cè tantissima giurisprudenza tra Consiglio di Stato e Tar, dal 2006 al 2009, che riconosce sia la forza maggiore che lerrore scusabile rispetto alle problematiche pendenti nella Regione Lazio e nella Regione Lombardia». Un lavoro di ricerca che si pone lobiettivo di «far slittare brevemente la data della consultazione elettorale». Ovvero, 11-12 aprile, subito dopo Pasqua.
In ogni caso, archiviato il capitolo elezioni, a quel punto si aprirà il confronto con Silvio Berlusconi. In un vis-à-vis incentrato sul futuro del Pdl, che così comè non piace affatto al suo cofondatore, in cui Fini, paradossalmente, avrà più armi a disposizione, alla luce degli errori commessi in questi giorni. Così, ribadito il concetto di non avere alcun interesse ad andar via, linquilino di Montecitorio - riferiscono dalle sue parti - tenterà di ridisegnare il partito unico, dal vertice (coordinatore unico, ex Fi, con un vice ex An a lui vicino) alla periferia (rifondare la classe dirigente, senza più nomine dallalto e schema iniziale 70-30). Un soggetto che propone, dibatte e decide, con gli uomini giusti (molti dei suoi, of course) ai posti chiave. Un progetto Pdl che non si realizza in poco tempo, ma che fra tre anni (al massimo) sarà strutturato a tal punto da permettergli di giocare in prima persona la contesa per la successione.
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