Il primo presidente repubblicano è Abramo Lincoln, eletto nel 1860. Il partito era nato appena qualche anno prima, nel 1854, con una piattaforma politica basata su alcuni principi chiave: Stato minimo, rigoroso rispetto dei principi liberali e lotta allo schiavismo.
Il nome derivava dal movimento fondato nel 1792 da Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori, che voleva limitare il potere dello Stato federale (e i cui componenti in realtà confluirono in quello che diventerà partito democratico).
Dopo la vittoria Unionista nella guerra di Secessione sono gli «occupanti» repubblicani a gestire la fase della Ricostruzione nell'ex Confederazione. È il periodo dei cosiddetti «carpetbagger», i politici approfittatori che calano nel Sud per impadronirsi delle ricchezze degli Stati sconfitti; anche per questo, per quasi un secolo, il partito repubblicano rimarrà il partito del Nord, odiatissimo dagli sconfitti nella guerra civile.
A partire dalla fine dell'Ottocento democratici e repubblicani mantengono in realtà un sostanziale equilibrio elettorale a livello nazionale (resta, come detto, l'eccezione del Sud, che rimane in solide mani democratiche) alternandosi spesso al potere. Il presidente repubblicano più noto di questi anni è Theodore Roosevelt, che grazie anche all'avvio di una decisa politica anti-trust, allarga la base elettorale, conquistando nuove adesioni nella classe dei piccoli proprietari. Per i repubblicani il periodo d'oro è quello degli anni Venti: vincono a mani basse tre elezioni consecutive, nel 1920, 1924 e 1928.
La Grande depressione segna una brusca battuta d'arresto: il Great Old Party, come è ormai chiamato il partito, sostiene politiche monetarie restrittive e rifiuta in maniera pregiudiziale ogni intervento pubblico nell'economia. Questo atteggiamento così poco in linea con le esigenze dell'epoca apre la porta a un ventennio di dominio democratico, il cui simbolo è Franklin Delano Roosevelt, l'uomo del New Deal, unico presidente a essere eletto per tre mandati (più tardi un emendamento della Costituzione imporrà un limite a due).
Negli anni Sessanta del Novecento, la svolta che segna la politica americana fino ad oggi. I presidenti in carica (John Kennedy e Lyndon Johnson) promuovono l'attività legislativa nel campo dei diritti civili e la desegregazione della popolazione nera nelle aree dell'ex Confederazione. Vengono approvate norme come il Civil Rights Act del 1964 e il Voting Rights Act dell'anno dopo. Gli elettori bianchi del Sud abbandonano in massa il partito democratico.
Il risultato è che nel 1968, quando Richard Nixon prevale su misura contro il rivale Hubert Humphrey, su 12 Stati del Sud 11 votano per l'Elefantino (il simbolo è legato alle vignette di un disegnatore attivo alla fine dell'Ottocento). Anche grazie a questo zoccolo duro, il periodo tra il 1968 e il 2008 vede quarant'anni di quasi ininterrotto dominio repubblicano.
Uniche eccezioni sono la presidenza di Jimmy Carter, successiva al trauma del Vietnam e alle dimissioni di Nixon per lo scandalo del Watergate; e gli otto anni di Bill Clinton, che con una politica sociale progressista e una politica economica aperta alle esigenze del business riesce ad affermare quella che a livello internazionale verrà conosciuta come «Terza via».
Per i repubblicani gli anni più gloriosi sono quelli che vedono Ronald Reagan al potere. Le regole dello stato sociale, sviluppatosi a dismisura a partire dagli anni della Guerra vengono riscritte («Lo Stato non è la soluzione, è il problema»), le aliquote fiscali drasticamente ridotte, l'America riprende un ruolo guida nel mondo occidentale, impegnandosi in un costoso confronto militare con l'ex Unione Sovietica.
È il momento in cui il partito
raggiunge il maggior consenso elettorale, mantenendo per otto anni il controllo sul Senato. Reagan tocca il picco della popolarità nel 1984: nelle presidenziali in cui è opposto a Walter Mondale conquista 49 Stati su 50.
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