È daccapo emergenza nel Pd. La cura Franceschini sta fallendo e i big del partito si riuniranno lunedì sera per trovare una via d’uscita. Dopo una partenza bruciante con la ripresa dell’antiberlusconismo, l’affiancamento alla Cgil in sciopero, le proposte concrete sulle misure anti-crisi, il nuovo leader si è arenato. L’avvicinarsi delle elezioni europee e delle amministrative in alcune importanti città sta seminando il panico. Il tetto del 25% alle europee sembra un miraggio e a Firenze e Bologna i candidati del Pd arrancano. La maledizione delle liste che procurò tanti guai a Veltroni sembra abbattersi anche sul suo successore.
La scelta di non candidare i big del partito si sta rivelando un boomerang. Nel Nord-Ovest crea fibrillazioni la candidatura di Sergio Cofferati. Nel Nord-Est manca il capolista. Al centro la guerra del Lazio ha fatto la prima vittima eccellente con l’auto-esclusione di Goffredo Bettini, gran maestro di cerimonie dell’era veltroniana e l’ascesa di un pallido capolista, il mezzobusto David Sassoli. Al Sud gli ex Ds non vogliono D’Antoni e gli ex popolari boicottano il prodian-dalemiano Paolo De Castro. Gongola solo l’eurodeputato Gianni Pittella, privo di consensi esterni ma in grado di fare man bassa di preferenze nel tradizionale elettorato di sinistra. Nelle isole la candidatura di Rita Borsellino fa naufragare quella di Enzo Bianco. Due big si sono messi alla finestra. Sono Franco Marini e Massimo D’Alema, offesi dall’invito di Franceschini a non correre per un seggio a Strasburgo.
Il passaparola in molti ambienti di sinistra fa pensare che sta crescendo l’area del non voto, mentre migliaia di elettori di sinistra, come ha ricordato ieri il sindaco di Bari, Michele Emiliano, stanno guardando con attenzione nel Sud alla candidatura di Nichi Vendola, leader della sinistra radicale che ha rotto con Rifondazione. Il rifiuto dell'alfiere del testamento biologico Ignazio Marino a candidarsi con il Pd potrebbe portare voti laici alla lista Bonino-Pannella. È un quadro devastante.
Il gruppo dirigente del Pd sembra però assai meno reattivo di qualche mese fa. È rassegnazione? Qualcuno tifa per la sconfitta per chiudere la breve parentesi di Franceschini? Indubbiamente la cura Franceschini fallisce perché il malato è molto grave e il medico non ha le risorse necessarie. Franceschini ha provato una strategia trasformistica. Ha solleticato le pulsioni di sinistra del nuovo-vecchio partito ma poi si è dedicato all’opera in cui riesce meglio, quella cioè di promuovere candidati a lui vicini e di orientamento ex popolare. Il mondo ex diessino si sente sotto-rappresentato e trova quasi dappertutto capovolti i rapporti di forza.
Nell’ultimo gorgo della crisi del Pd si sta facendo largo anche una strategia non dichiarata. I leader più autorevoli pensano che i giochi sono già fatti e che il Pd non si può più salvare. La celebrazione delle elezioni europee viene vista come il passaggio doloroso ma necessario per mettere in campo altre ipotesi. L’occhio di tanti è puntato a due risultati, quello di Vendola e quello di Casini. Se entrambi riusciranno a ottenere suffragi importanti (il raggiungimento del quorum per i vendoliani, una buona percentuale per l’Udc), nel Pd la strada della rottura consensuale fra l’area ex Margherita e quella ex diessina sembra spianata. Divorzio in vista di una nuova convivenza. Tornerà l’Ulivo. Sta, intanto, montando una guerra interna fra i fautori dei due progetti scissionistici. C’è Rutelli che da quando ha capito che Enrico Letta potrebbe essere il leader di una nuova formazione di centro mostra minori simpatie per Casini, mentre a sinistra, in quell’area che pensa di unificarsi con Vendola, D’Alema non ha ancora deciso chi possa essere il leader neo-socialdemocratico dopo l’appannamento dell’immagine di Bersani e mentre crescono le ambizioni di Cofferati.
Interi stati maggior si stanno impegnando piuttosto che per il voto alla ricerca delle migliori postazioni per il dopo-voto. Franceschini non vive drammaticamente questa fuga dall’impegno dei suoi compagni di cordata. Il suo obiettivo è di restare alla guida del Pd anche nel caso che la compiente rutelliana e gli amici di Letta dovessero lasciare l’impresa. Per tutte queste ragioni il voto di giugno è ormai per il Pd un vero terno al lotto.
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